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CONSIDERAZIONI AVANZATE SUL LAVORO CON IL CORPO di Sergio Mazzei

Sergio Mazzei • giu 22, 2018

di Sergio Mazzeidirettore dell’Istituto Gestalt e Body Work di Cagliari

Ho cominciato ad applicare la tecnica della Body Psycotherapy, che ho appreso attraverso un percorso di formazione intrapreso negli anni ‘80 con George Downing, al quale sono molto grato per avermi introdotto con tanta professionalità a questo metodo, integrandola nel corso del tempo sempre più con l’approccio gestaltico da me principalmente praticato e naturalmente con il mio stile personale. Infatti un punto fondamentale nell’apprendimento è quello di imparare a “ masticare ” i concetti, le idee con cui si entra in contatto e buttarli giù solo se risultano convincenti e invece rigettarli se “ indigesti ”. Bisogna dunque rendere proprie le cose che si dicono, sentire dal di dentro ciò di cui si parla, sapere ciò che si dice prima di poter condividere, farsi risultare intimamente la conoscenza con cui ci si trova ad avere a che fare per non rimanere in una mera costruzione astratta. In questo modo, applicando questo principio, ho adattato il modello che ho ricevuto alla mia esperienza e alla mia particolare visione delle cose.

Nello sviluppo del mio atteggiamento terapeutico sono stato inoltre fortunatamente e felicemente influenzato dalle diverse teorie della relazione d’oggetto , sia da quella kleiniana orientata allo studio della natura del mondo oggettuale interno che, e soprattutto, da quella orientata all’intersoggettività, e qui mi riferisco a Fairbain che per primo sostenne che all’individuo interessa molto più l’ oggetto piuttosto che il piacere , o detto in altre parole, ciò che si desidera principalmente è la relazione e non un semplice scarico pulsionale. Successivamente Winnicott e Bowlby hanno ulteriormente elaborato questa posizione mettendo poi le basi della psicologia del Sé di Kohut del quale ho scelto di “ far mia ” l’importanza della posizione empatica che tanto l’avvicina all’esistenzialismo buberiano. Oggigiorno dopo molti anni di pratica con questo tipo di approccio posso dire di averne constatato una sicura efficacia ed è evidente che i lavori con il corpo attraverso l’apertura del respiro connessa con l’adeguata elaborazione del vissuto che ne emerge hanno un grande valore terapeutico.

A mio avviso come terapeuti e formatori la via maestra per sviluppare la propria efficacia è quella di allenare se stessi a convivere con la propria manifestazione emozionale stando in una posizione non giudicante, nell’ epochè di Husserl, sia in generale come pratica di vita che in modo particolare nelle sedute da noi svolte. Dico convivere con questa manifestazione e non risolvere perché non è realistico e certamente un po’ troppo “ grandioso ” pensare di non avere più problemi. D’altra parte lo scopo terapeutico non è certo che il paziente realizzi l’illuminazione ma piuttosto che riesca a comprendere la sua storia, come si sono formati i suoi disturbi e, cosa più importante, che riesca a sviluppare un atteggiamento di compassione e tenerezza nei confronti del suo essersi interrotto che incontra progressivamente nel corso del lavoro terapeutico. Questo atteggiamento può favorire potentemente la trascendenza dai suoi problemi, può aiutarlo a conviverci in modo più sereno e certamente gli permette di imparare a crescere con loro. Diceva Freud che la terapia finisce quando il paziente sente che ciò che prima gli sembrava insopportabile in realtà è sopportabile, per cui alla fine è proprio lo sviluppo dell’arte della risposta ( respons-ability ) piuttosto che l’eliminazione del sintomo ad essere fondamentale nella terapia.


PRIMA DI COMINCIARE

Nel lavoro con il corpo è necessario essere un po’ prudenti e basarsi su una precisa considerazione psicodiagnostica, come vedremo più avanti, prima di decidere se sia il caso per il paziente di entrare in contatto in modo molto diretto e forte con le sue emozioni.


Certamente sono opportune tre cose : primo che esista una solida alleanza terapeutica, secondo che il paziente abbia una certa familiarità con il proprio mondo interiore e infine che abbia un valido sistema di sostegno interpersonale . Se questi requisiti non sono soddisfatti, specie i primi due, allora può essere controindicato.

In generale, benché il lavoro con il corpo possa funzionare bene anche senza un “ oggetto ” specifico, un argomento particolare da trattare, in quanto il problema, se c’è, è già dentro il corpo, celato dietro allo schema corporeo, con il suo sistema di tensioni e contrazioni, io preferisco attualmente comunque cominciare con l’uso della parola. Aprire una piccola conversazione con lo scopo di esplorare la condizione del paziente riguardo alla sua esperienza dell’adesso migliora la relazione e favorisce un ingresso nel suo e nostro mondo interno in modo meno ruvido.

Si può quindi cominciare parlando per un po’ per poi, quando viene il momento, sviluppare la seduta con un lavoro di apertura del respiro allo scopo di contattare i vissuti emozionali della gestalt che va via via formandosi in primo piano.


IMPOSTAZIONE DELLA SEDUTA E TECNICA DI BASE

Riepilogo brevemente alcuni elementi tecnici e qualcosa sulla sequenza del processo corporeo in parte già descritta nel mio articolo precedente “ Principi della Body Psycotherapy ”1.

Si deve usare un materasso sufficiente ampio da permettere agevolmente una libera manifestazione di possibili movimenti delle braccia, delle gambe e della testa. Il terapeuta si siede di fianco avendo bene in fronte a se la zona pelvico - toracica del paziente. La testa non deve essere troppo vicina ad un muro o fuori dal materasso in quanto se dovessero esserci in seguito dei movimenti di una certa forza potrebbe essere pericoloso per il paziente. E’ bene inoltre prima di cominciare il lavoro chiedere al paziente di liberarsi di orologi, collane, grossi anelli, cinture, ecc. La posizione che

utilizzo più frequentemente per questo lavoro è quella distesa indicata a lato. Non è l’unica che si può usare ma è a mio avviso la più comoda sia per il paziente che per il terapeuta. E’ una stress position che viene dalla Bioenergetica di Lowen ed ha appunto la funzione di provocare una risposta emozionale come conseguenza del disagio che induce. Si piegano le ginocchia cercando di portare i piedi un po’ indietro verso il bacino e le braccia vanno messe lungo i fianchi. Questa posizione

permette che il respiro circoli liberamente e permette inoltre che avvengano più movimenti spontanei. Per esempio se si chiede al paziente di fare prima qualche movimento con le gambe alzate e poi con le gambe abbassate, si noterà inequivocabilmente che nel primo caso il movimento e più visibile e diffuso in tutto il corpo. Se durante la seduta il paziente volesse abbassare le gambe gli chiediamo prima di dirci i suoi motivi ed esploriamo se si tratta di questioni legate al corpo o al vissuto interno. In presenza per esempio di acuti dolori fisici derivati da fratture, operazioni o altre complicanze organiche si potrà trovare una qualche via di mezzo, ma negli altri casi gli diciamo che questo non è possibile e che se dovesse insistere nella richiesta bisognerà interrompere il lavoro con il corpo e si potrà comunque fare una seduta normale. Non si colpevolizza mai. In casi particolari quando i pazienti hanno una seria difficoltà nell’avere un qualunque tipo di contatto fisico si può lavorare con il corpo anche senza toccarlo usando la propria voce come fosse una mano, dando istruzioni verbali su come respirare e su ciò che si nota nel processo in atto.





1 S. Mazzei, “ Principi della Body Psycotherapy: tra terapia della Gestalt e teoria delle relazioni oggettuali “, Rivista “Qui e Ora” n. 1, Mazzei Editore, Cagliari,1992


Ad ogni modo quando tutte le premesse sono soddisfatte si può cominciare il lavoro e il processo corporeo si avvierà poi lavorando con l’apertura del respiro. In generale le tecniche che utilizzo principalmente sono:

1.Pressioni per favorire l'espirazione

2.Pressioni per favorire l'inspirazione

3.Lavori sulla muscolatura.

Si incomincia osservando dove è maggiormente evidente il respiro: si muove più il torace o la pancia? Alle volte non è facile notarlo specie quando il paziente è molto contratto e sembra immobile. Certo il movimento esiste ma è minimo. In quel caso si può chiedergli di fare prima qualche respiro profondo per poterne individuare il ritmo. Una volta individuato, utilizzando la prima tecnica, si appoggia, molto, molto delicatamente una mano nella zona ove il respiro è maggiore e si preme in modo leggero per favorire l’espirazione e così facendo si va avanti per un po’.

Successivamente si fa la stessa cosa con l’altra parte e infine dopo un po’ di tempo si lavora contemporaneamente a due mani. La pressione sull’addome va esercitata in verticale dall’alto al basso mentre quella sul torace si muove più in orizzontale con movimento laterale. Le mani si mettono a palmo (una o due mani) o anche a pugno. Dipende un po’ dalla circostanza. Spesso si può osservare che il paziente tiene la bocca con le labbra un po’ serrate come per tenere una tensione di controllo. In questo caso gli si chiede se può dischiuderle leggermente. In questo modo si potrà notare un immediato effetto di rilassamento.

In caso si notasse che il respiro è particolarmente bloccato o nell’addome o nel torace si può allora utilizzare la seconda tecnica bloccando l’inspirazione della parte che maggiormente respira. Se si fa così la zona contratta deve per forza di cose aprirsi al respiro sennò si soffoca. Questa seconda tecnica si fa solo due o tre volte e poi si ritorna con quella precedente per favorire l’espirazione.

La terza tecnica di lavoro sulla muscolatura è anche detta tecnica di rimodellamento ed ha la funzione di contribuire attraverso una comunicazione corporea

mediante l’uso delle mani del terapeuta sul paziente ad un rilassamento del suo tono muscolare. Si interviene sulle parti che appaiono particolarmente contratte e non necessariamente in termini di massaggio classico ma maggiormente con tonalità affettiva come trasmissione di presenza e attenzione. Questo tipo di lavoro può far accrescere la fiducia del paziente nel terapeuta e far emergere nuovi elementi dal processo corporeo.


FASI DEL PROCESSO CORPOREO

Con questo modo di procedere, facendo pressioni sul torace e sull’addome del paziente e con l’applicazione di qualche tecnica di rimodellamento si apre il respiro e di conseguenza si modificano le sue tensioni muscolari, e questo da luogo anche alla modifica dello schema corporeo, in altre parole del suo modo fisico di stare nel mondo.


La conseguenza di ciò è che si passa generalmente attraverso 4 fasi di processo corporeo :

incubazione, tremori, emozioni , movimenti più ampi.

Fase dell’incubazione

In questo primo momento si stabilisce e si sviluppa una prima relazione verbale con il paziente. Si lavora all’apertura dei respiro e si dicono poche cose che hanno lo scopo di indurre il paziente al lasciarsi andare al processo e al prestare attenzione, in modo sempre più dettagliato e con maggiore presenza, a ciò che emerge. Per esempio si può dire: “ Non c’è niente che tu debba fare ora tranne che prestare attenzione a ciò che accade. Non modificare niente e respira come ti pare. Osserva la tua esperienza e tra un po’, se ti andrà, ti chiederò di parlarmene ”.

Per Downing in questo primo momento si va formando “ un mosaico di piccole sensazioni sparse ”, in altre parole non vi è ancora alcuna gestalt particolare che ha preso il primo piano, ma molte cose internamente tendono a convergere verso punti sempre più definiti.

La consapevolezza corporea è ancora vaga e solo dopo qualche tempo si possono manifestare sensazioni di intorpidimento delle mani, delle braccia o delle labbra oltre a sensazioni di caldo o di freddo come anche di disagio diffuso, ma può anche succedere che non accade nulla.

Alle volte ho raccolto dichiarazioni del tipo: “ Sto bene ”, “ Non sta succedendo niente di particolare ”, oppure “ Non sento nulla ”, ecc. In questi casi non insisto mai perchè sperimentino qualcosa di diverso ma al contrario uso quanto mi viene detto per esplorare maggiormente la caratteristica del paziente. Posso per esempio fare delle domande del tipo: “ Ok, stai semplicemente con questo nulla che sperimenti, ti è successo altre volte di non sentire nulla ?” Oppure: “ Come stai, come è la tua vita quando non senti nulla ?” O anche: “ … e se il non sentire nulla ti aiutasse ad evitare qualcosa, che cosa potrebbe essere? C’è qualcosa che ti viene in mente? ”.

Con i pazienti che dicono di non sentire niente si può fare l’errore di lasciar perdere il lavoro col il corpo e decidere di fare esclusivamente sedute verbali. La cosa da fare è invece ritornare al corpo nelle sedute successive e lavorarci un altro po’. Col tempo arriverà qualcos’altro. Non bisogna mai premere. Bisogna rassicurare il paziente e fargli sentire che è lui a decidere e non il terapeuta.

Il principio in generale è non rigettare mai la comunicazione come arriva ma semmai cercare di amplificarla. Si usano le dichiarazioni del paziente per scoprire il valore e il senso di quanto afferma nella sua vita, nel suo sistema difensivo. A cosa gli sono servite le sue risposte? La sua eventuale negazione o rimozione delle emozioni?

Anche se i pazienti spesso affermano di non sentire niente in realtà stanno succedendo molte cose. Peraltro è sempre importante tenere presente che il sistema difensivo non va “ svelato ” prematuramente. Le resistenze sono sacre ed è per loro che in passato come nel presente abbiamo potuto sopravvivere in un ambiente difficile. Mai aver troppa fretta e in generale è sempre meglio fare poco che troppo.

Nel lavoro con il corpo ci sono sempre molteplici livelli dell’esperienza. In superficie in questa fase ci possono essere solo delle semplici sensazioni ma più in profondità si stanno contattando cose molto antiche. Ad ogni modo per andare avanti si deve chiedere il permesso al paziente . E’ come un bussare prima di entrare in casa sua. E’ sia una questione di rispetto che rafforza la fiducia nella relazione che anche, cosa molto importante, una richiesta di assunzione di responsabilità . Si deve dunque chiedere: “ Ti va bene se andiamo avanti? ” e si deve insistere che il paziente senta per bene la sua risposta. Non va bene un semplice frettoloso annuire. Ci vuole un “ si ” ben detto per andare avanti. Quasi sempre il sì arriva anche perché il paziente si rende conto che ciò significa darsi una possibilità di superamento dei propri limiti e questo evidentemente ha spesso un fascino irresistibile.

Downing afferma che “ Il motivo per cui un muscolo rimane in stato di contrazione, è che il cervello continua, senza sosta, ad inviargli istruzioni in questo senso. Il respiro legge gli affetti. Gli affetti leggono il mondo ”2. Che il respiro legge gli affetti significa dunque che ne è condizionato.





2G. Downing, “ Il corpo e la parola ”, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1995


Gli affetti, ovvero le emozioni, producono continuamente alterazioni ed interruzioni nel normale ciclo respiratorio. Ricordo che anche Goodman, che era stato allievo di Lowen, aveva osservato delle corrispondenze tra disturbi del respiro e la funzione del Sé nel ciclo del contatto . Che gli affetti leggono il mondo significa naturalmente che queste emozioni sullo sfondo, che hanno alterato il ritmo respiratorio, hanno anche una loro precisa percezione delle cose del mondo, delle persone e delle situazioni, delle esperienze che hanno vissuto. Si potrebbe dire con il costruttivista Von Glasersfeld che i costrutti , cioè le nostre percezioni della realtà , si formano come adattamento dell’organismo all’ambiente quando questo è stato portatore di esperienze ben precise e definite. Non si tratta dunque di “ verità ” ciò che percepiamo del mondo, ma piuttosto di “ ricordi e vissuti ”, cioè rappresentazioni di relazione tra noi e il mondo interiorizzate e conseguenti delle nostre esperienze interpersonali originarie.


Fase dei tremori

Andando dunque avanti si arriva al secondo momento del processo corporeo che è quello dei “ tremori ” detto anche, in termini fisiologici, di “ fibrillazione ”. E’ un momento importante perché le emozioni si incominciano a presentare sullo sfondo. C’è un senso di pericolo, di minaccia che qualcosa di difficile, di inquietante sta per accadere. Letteralmente si incomincia a tremare nel sentire questi vissuti. Questa esperienza da una parte può far preoccupare un po’ il paziente ma dall’altra lo rende contento ed eccitato perché è segno “ che qualcosa sta succedendo ”.

La modificazione della respirazione produce un’alterazione del livello di ossigeno e questo ha anche un effetto inebriante a livello corticale producendo una sorta di stato alterato di coscienza. A mio avviso semplicemente si smette di “ non respirare ” e si sperimenta la propria reale potenzialità di percezione e di consapevolezza in modo non ostruito. Con il tremore il corpo si apre all’esperienza della propria dimensione interna.

Una prima considerazione è che se si trema significa che in qualche modo si è decisi di partire per l’avventura dell’esperienza. D’altra parte è proprio quando decidiamo di parlare che per esempio ci può tremare la voce e non quando abbiamo deciso di stare zitti e altrettanto ci possono tremare le gambe solo se siamo intenzionati ad affrontare una certa difficile situazione, come per esempio sostenere un esame o fare una dichiarazione d’amore o affrontare un nemico. In fondo, in un certo senso, il tremore è la conseguenza di un atto di coraggio, di una scelta di affrontare una questione difficile. Chi non osa non trema.

Un’altra importante considerazione sul tremore è che questo è l’effetto di una polarità in azione: c’è da una parte una forte spinta interna che va verso la liberazione dell’impulso che era rimasto bloccato nelle croniche tensioni corporee, nelle contrazioni muscolari che hanno formato lo schema corporeo: un impulso a esprimere qualcosa, che come vedremo più avanti, sono le antiche emozioni trattenute, e dall’altra parte, seppure inconsapevolmente, c’è una forte resistenza a farlo, ad esprimere i contenuti che emergono nella coscienza. C’è una grande paura.

In circostanze di questo tipo si può vedere in azione il doppio istinto di cui parlava Freud: l’ Eros , la vita, il cambiamento e il Thanatos , la morte, la rassegnazione passiva. I tremori sono in definitiva il risultato di questo impasse tra gli opposti.

Quando nel corso del lavoro con il corpo il paziente ci comunica l’esperienza dei tremori una possibilità è chiedergli se, nonostante questo, è disposto ad andare avanti. Se può sopportarli. Anche in questo caso la responsabilità di andare avanti è sua e pertanto è anche suo il merito del proprio coraggio. Io personalmente intervengo un po’ verbalmente per sostenerlo dicendogli per esempio che questo è l’effetto dell’avvicinarsi di emozioni difficili, che in passato sembravano insuperabili ma che nel presente le cose sono diverse e possono essere affrontate. Conto molto sull’alleanza terapeutica. Inoltre è anche buona cosa dire al paziente che in ogni momento può interrompere il lavoro e che cambiando semplicemente posizione, ovvero rimettendosi seduto, l’intero processo si può interrompere. Ciò gli può risuonare come “ antidoto al troppo per lui ”.

Da questo momento in poi si potrebbero manifestare le emozioni, che sono nel terzo stadio dell’esperienza corporea.


Confini dell’Io

Ci troviamo ai confini di ciò che l’Io del paziente è abituato a sostenere. Il tremore ne è l’espressione.

I principali confini dell’Io con cui più frequentemente ci si imbatte sono:

Confini del corpo (qualche postura o qualche movimento può essere scomodo, fastidioso, doloroso e si tende pertanto a evitarlo. Il corpo non è abituato a sostenere questo nuovo modo di manifestarsi)

Confini dei valori (si giudica adeguato o meno un certo comportamento, atteggiamento. Non sta bene essere arrabbiati, sessualmente eccitati, impauriti, ecc. Ci sono molte introiezioni su come si deve e non si deve essere)

Confini della familiarità (ci si trova nello sconosciuto, non si sente di avere i piedi per terra. Non si ha familiarità a vivere questo tipo di esperienza. Si è come in viaggio verso l’ignoto e questo può far paura)

Confini dell’espressione (non si è abituati ad esprimersi in certi modi, per esempio urlando, piangendo, ridendo, ecc. Anche in questo caso gioca un ruolo molto importante l’influenza dei vari tipi di resistenze al contatto e la propria abitudine di essere nel mondo)

Confini dell’essere esposti (ci si sente al centro dell’attenzione e vulnerabili. C’è un senso di minaccia che sorge dalla proiezione sull’ambiente di giudizi negativi sulla propria condizione, su ciò che si sta vivendo, che devono essere stati già sperimentati in passato nel proprio contesto di appartenenza)


Fase delle emozioni

Quando non si ha esperienza del lavoro con il corpo non è cosi facile lavorare con le emozioni. Queste infatti potrebbero anche emergere potentemente e se non si è preparati ci si può sentire un po’ spaventati. Questo è normale.

Ci sono due ostacoli al lavoro. Il primo è a livello tecnico , che significa che non si sa bene come fare, come intervenire, se si deve parlare, se si deve stare zitti, se si deve stare più lontani o più vicini, se si continua con il respiro o si cambia argomento. Questo è un ostacolo che si supera normalmente nel tempo facendo esperienza .

Il secondo ostacolo invece, che è più problematico, è il livello del controtransfert del terapeuta. Qui si possono manifestare paure di ogni genere e in questo secondo caso è bene notare, prestare attenzione e comprendere cosa accade dentro di sé, quali sono le proprie paure catastrofiche sottostanti, in quali costellazioni personali si viene toccati da questo rapporto così intimo con il paziente. In che modo i suoi vissuti e le sue emozioni ci risuonano. Non bisogna avere paura di vedere il proprio scenario interno ma piuttosto bisogna farci l’abitudine e magari lavorarci sopra successivamente in supervisione. Col tempo ci si irrobustisce .

E’ regola generale che quando si manifestano le emozioni queste hanno sempre un oggetto intenzionale , ovvero sono in relazione a qualcuno e sono sempre connesse ad un contesto, a delle circostanze e situazioni realmente accadute nella vita del paziente. Per esempio se viene fuori la rabbia questa la si sperimenta sempre nei confronti di qualcuno e per qualcosa che ha fatto o non fatto. Noi, come terapeuti, dobbiamo fare del nostro meglio per aiutare il paziente a rendere dunque il più chiaro possibile sia l’oggetto che il contesto delle emozioni che sorgono.

Lo scopo del lavoro non è catartico, ovvero di liberazione della pulsione, dell’energia emozionale in esubero, ma piuttosto cognitivo. Si deve aiutare il paziente a raggiungere un insight affettivo, a capire cosa è successo, con chi è successo e in che modo ci si è posti davanti a questi fatti avvenuti nel passato. Lo si deve aiutare a rendersi conto e “ sentire bene dall’interno dell’esperienza ” la propria emozione osservando in che modo questa agisce nella sua vita e nel suo organismo, inteso come totalità del suo essere: corporeo, emozionale, mentale, spirituale. Inoltre parlandone ed entrandoci maggiormente in rapporto lo si aiuta ad apprendere ed usare, come diceva il titolo del bel


racconto di Marie Cardinal, “ le parole per dirlo ”3, cioè apprendere il modo per esprimere ciò di cui si è reso consapevole e che non ha mai detto. In questo modo può imparare a costruire un linguaggio per colmare queste antiche interruzioni e così, parlandone, le può unire ed integrare.

Ci son quattro emozioni principali , direi capofamiglia, che emergono dal lavoro terapeutico in generale che sono: la rabbia, la tristezza, la paura e il piacere . Naturalmente queste emozioni possono presentare un’infinità di sfumature. La rabbia per esempio si può esprimere come fastidio, dissenso, polemica, distanza, schifo, ecc. La tristezza può manifestarsi come nostalgia o malinconia, disinteresse, assenza, stanchezza, ecc. La paura come timidezza, esitazione, rinuncia, isolamento, silenzio. Il piacere può trovarsi nell’eccitazione, nell’allegria, nella risata, nella sfida, nella danza e nel movimento. E’ ovvio che ognuno ha i suoi guai e non c’è un’emozione che in generale può essere considerata più complicata da vivere. Ci sono persone che sanno arrabbiarsi facilmente e che magari sono addirittura sempre arrabbiate, altre che sono invece specialiste in tristezza cosi come altre che sono sempre lì con la loro paura a dire “ E’ meglio di no, ho paura, sarà per un’altra volta ”, e così via. E ovviamente ci sono anche i cultori di “ quanto è bella la vita ”, “ sii felice ”, “ è tutto così magnific o”, ecc., un po’ all’americana. In realtà quando queste emozioni non sono soltanto degli “ fitting games ” come li chiamava Perls, ovvero “ giochi di adattamento ”, e cioè i vari ruoli o personaggi che si possono recitare quali, per esempio, il duro, la vittima, il lamentoso, la brava bambina, il simpatico, ecc., quando invece sono emozioni reali, direi che nella mia esperienza ho osservato che le emozioni più facili, o forse per meglio dire meno problematiche nel lavoro con il corpo sono la rabbia e il piacere e poi un po’ più difficile è la tristezza e infine la paura è di gran lunga la più delicata da lavorarsi. Qui il livello di angoscia è molto forte. Con la paura si deve stare attenti. Alle volte non serve entrare e basta soltanto parlarne, almeno in una prima fase.

Prima di addentrarmi in modo più dettagliato sulla presentazione del lavoro con le emozioni che tratterò più avanti, mi sembra opportuno fare alcune considerazioni e precisazioni sulle premesse psicodiagnostiche che ho imparato a tener presenti prima di cominciare una seduta di Body Work.


QUALCHE CONSIDERAZIONE DIAGNOSTICA

Come ho detto prima di entrare dentro una emozione bisogna che il paziente abbia già sviluppato una qualche capacità di reggerla e gestirla e quindi appare doveroso fare delle valutazioni diagnostiche sull’opportunità di procedere. Il dolore è una cosa seria e va rispettato e il lavoro deve essere pertanto proporzionale alla forza dell’Io del paziente affinché non divenga distruttivo. Riepilogando, il terapeuta deve farsi tre domande per decidere come andare avanti:


1.Quanta forza dell’io possiede il paziente? Quanto di questa emozione può reggere?

Questa domanda va posta sia a livello individuale che di gruppo in caso si stia facendo la seduta in questo contesto. Nel gruppo ci si deve “ tarare sul più debole ” e bisogna quindi essere pronti a rispondere anche alle risonanze che si possono verificare come conseguenza del forte impatto del lavoro. Questa è una responsabilità del terapeuta. In generale è bene che i gruppi siano un po’ omogenei, cioè composti di persone che abbiano già una buona esperienza “emozionale” di base e non è terapeutico esagerare.


IO E SÉ

L'idea dell'Io è molto antica così quanto quella dello spirito o dell’anima. Da Socrate, che forse per primo identificò l’Io con la coscienza, sino ai più recenti “ cogito ergo sum ” di Cartesio e” io penso ” di Kant, pur naturalmente con molte autorevoli obiezioni in merito alla sua reale





3Marie Cardinal, “ Le parole per dirlo” , Bonpiani, Milano, 1976


esistenza (Plotino, Leibnitz, Hume, Schopenhauer, Nietzsche), e infine con Freud (che lo chiamava “ Ego ”) che lo inserì nella sua famosa seconda teoria topica della psiche costituita dall’ Io , dall’ Es , e dal Super-Io. In realtà Freud considerava l’Io come una realtà marginale, un elemento cosciente della psiche che aveva soltanto la funzione di essere il punto di incontro tra Es e Super-Io.

Dopo Freud il contributo decisamente più importante allo studio e sviluppo di questo concetto ci è venuto dalla “ psicologia dell'Io ” di Hartmann elaborata in America intorno agli anni ’40 che ha rappresentato un significativo cambiamento dalla precedente posizione freudiana di funzione prettamente difensiva dell'Io in una funzione specificamente adattativa. A cominciare da Hartmann l’ Io comincia ad essere considerato come una sorta di “ omuncolo ” all’interno di sé che funge da coordinatore nelle cosiddette funzioni primarie autonome . Esso è come un computer che fa da interfaccia o mediatore tra il mondo interno e quello esterno e quindi tra l’organismo e l’ambiente, ha una funzione di adattamento e di risposta ai conflitti ed è quindi un meccanismo di autoregolazione, è un organo che permette la percezione dell’oggetto, la regolazione affettiva, è capace di esame di realtà, di creatività, di interiorizzazione, di organizzazione e coordinamento nello spazio, di memoria e presiede alla facoltà di linguaggio. Un Io con queste caratteristiche era un po’ simile a quello che Kant chiamava “ Ego empirico ” contrapposto all’” Ego trascendente ”.

Inoltre l'ipotesi di Hartmann era che l’ Io si sarebbe potuto sviluppare qualora si fosse trovato in una circostanza sufficientemente libera da conflitti o, in altre parole, che se anche fosse stato soggetto ad una invasione da parte del conflitto, in presenza di un ambiente di appartenenza su cui potesse contare stabilmente non ne sarebbe comunque stato bloccato. Questa posizione che postulava l’importanza di un buon ambiente di origine nel quale l'organismo si potesse adattare e svilupparsi, era molto vicina a quella della successiva teoria delle relazioni oggettuali e quasi certamente il lavoro di Hartmann è stato di avvio a quello della psicologia del Sé di Kohut.

Come Hartmann anche i coniugi Blanck e Blanck nel loro libro “ Teoria e pratica della psicologia dell'Io” 4 hanno successivamente sottolineato come questo potesse essere reso più forte.

L'espressione “ teoria delle relazioni oggettuali ” è soprattutto associata al nome dell'analista inglese Fairbairn, che rivoluzionò l’opera di Freud e di Klein aggiungendo alla loro visione “ pulsionale ” la sua prospettiva “ relazionale ” detta appunto della relazione oggettuale. Come dicevo sopra, il terzo istinto , al di là della sopravvivenza e della riproduzione è quello alla relazione. Infatti, l’aspetto specifico della teoria delle relazioni oggettuali, come attualmente viene considerata, è appunto caratterizzato dallo spostamento dall'aspetto pulsionale a quello della relazione, che essa abbia o meno una natura primariamente pulsionale.

Questa prospettiva si sviluppò inizialmente in America con l'opera di Sullivan, di Mahler e di Kernberg mentre in Europa, e in modo molto diverso, crebbe grazie ai fondamentali contributi di Suttle, della stessa Klein, di Balint, di Guntrip, di Winnicott e di Bowlby.

Dopo qualche tempo i teorici della relazione d’oggetto cominciarono a parlare del “ ”. Jacobson per prima scrisse un libro dal titolo “ Il sé e il mondo oggettuale ”5 ove affermava che l’Io non era il in quanto il primo era una specie di manager mentre il secondo rappresentava l’intera persona compreso l’inconscio mentre per Hartmann l’ Es o Id (che costituisce l’inconscio) era contrapposto all’ Io . Il quindi in questa nuova visione della struttura della psiche, esprime la

totalità dell’individuo. Anche nella psicologia del di Kohut il rappresenta la totalità (sebbene anche lui parlasse di Io nel suo primo libro ma successivamente parlò esclusivamente di ). Se il primo rapporto con la madre è buono, affermava Kohut, allora ci sarà un solido ma se è cattivo il sarà fragile, frammentato e lo scopo della terapia sarà dunque quello di renderlo più solido.

Interscambiando quindi i concetti di Io e in quanto equivalenti, almeno in questa circostanza, si può dire che si dovrà lavorare quindi per rendere l'Io più forte.

Kernberg parlò in senso più clinico di forza dell’Io come criterio diagnostico ed egli la metteva in relazione ad un particolare campo dell’esperienza interna e cioè al livello dell'ansia e alla conseguente capacità di gestire le emozioni. Avere forza dell’Io per Kernberg significava avere




4 G. Blanck e R. Blanck “ Teoria e pratica della psicologia dell'Io” 4 , Boringhieri, Torino,1978

5 E. Jacobson “ Il sé e il mondo oggettuale ” Ed. Martinelli, Firenze, 1998


una buona capacità di gestire l’ansia liberamente entro di sé senza esserne travolto. Significava avere la capacità di governare i propri impulsi come per esempio quando l'Io è in grado di dirigere e calibrare la rabbia senza farla esplodere come un fragoroso starnuto che schizza da tutte le parti. Una persona che ha poca forza dell'Io, ad esempio nel caso del disturbo borderline, deve continuamente esprimere la propria rabbia in quanto non ha una capacità di scegliere quanto, se e come dire le cose. Altrettanto si può dire riguardo alle altre emozioni ove la persona ne sia preda senza una capacità di porre loro un limite.

La prima valutazione è dunque rendersi conto se il paziente ha questa capacità. In caso comunque ci si trovasse in una situazione ove l’intensità cresce vorticosamente e il paziente sembra in seria difficoltà si può benissimo interrompere la seduta con una dichiarazione del tipo: “ Ho l’impressione che l’esperienza che tu stai vivendo sia molto forte. Credo che sia meglio per ora interrompere e magari parlare di quel che è successo in modo da poter integrare un po’. OK, ora ti chiedo di allungare le gambe e lentamente di rimetterti seduto ”.

Se poi il paziente avesse difficoltà a rimettersi seduto da solo lo si può aiutare sollevandolo gentilmente. Quando si modifica la posizione e si ritorna seduti la persona “rientra” velocemente al suo stato ordinario di coscienza.


2.Qual è la natura dei sintomi del paziente? Quali sono le sue difese?

E’ meglio non fare, almeno in fase iniziale, questo tipo di lavoro con pazienti molto disturbati come psicotici e borderline. Con i disturbi nevrotici in cui sono presenti le ordinarie resistenze al contatto in grado non eccessivamente severo, il lavoro può essere fatto tenendo comunque sempre presenti le altre considerazioni già espresse: alleanza terapeutica , familiarità con il proprio mondo interiore e valido sistema di sostegno interpersonale. Finché c’è solo un meccanismo di “ordinaria“ rimozione si può andare avanti. Il problema è se siamo di fronte a meccanismi caratteristici delle personalità molto disturbate, i cosiddetti meccanismi di difesa primitivi , come per esempio la “ idealizzazione ” eccessiva del tipo “ Ah, la mia famiglia è meravigliosa, mia padre è sempre buono e gentile, mia madre è la migliore delle mamme, ecc .” Con la sindrome da “ mulino bianco ” non si va avanti. C’è troppa paura di vedere i limiti del proprio contesto. Altrettanto accade con la “ scissione ” o “ dissociazione ” che ha lo scopo di salvaguardare i propri bisogni narcisistici. Non si vogliono riconoscere alcune parti del sé e dell’oggetto che sarebbero troppo inquietanti da integrare nella consapevolezza. Stesso problema in presenza della “ proiezione ” di tipo paranoide e dell’” ipersvalutazione ” che sono altri meccanismi di difesa primitivi la cui presenza eccessiva dà delle indicazioni di prudenza nell’applicare questo metodo.

Nel triangolo a lato, che è preso da un modello diagnostico delle teorie della relazione oggettuale, abbiamo principalmente due dimensioni di disturbo psichico: le persone normali che stanno nella parte superiore, nella zona nevrotica, e il versante della zona inferiore dove ci sono pazienti con un alto grado di disturbo e che spesso devono essere ospedalizzati. Nella parte tratteggiata ci sono i pazienti borderline che sono un po’ di qua e un po’ di là ma che continuano ad avere una certa capacità di autonomia e di consapevolezza. In questo triangolo sono descritti due versanti in cui può essere collocato l’individuo, quello narcisistico e quello psicotico.

I narcisisti hanno la caratteristica di “ non vedere l’altro ”. Lasciano che l'altro quasi scompaia fino al ben noto ritiro narcisistico . C’è la totale rinuncia alla relazione. Gli psicotici al contrario sono in uno stato di cronica connessione-interruzione . Sentono il contatto ma non lo reggono e dunque lo devono interrompere. Alcuni pazienti borderline


possono essere sia nel lato narcisistico che in quello psicotico. Questi disturbi hanno le loro radici nella risposta infantile alle carenze di relazione con la madre.

Nella visione kohutiana infatti il disturbo narcisistico si forma come reazione allo scarso riconoscimento da parte della madre alle giuste richieste di apprezzamento del bambino che, sentendosi respinto, ritira la sua richiesta e in qualche modo apprende a darsi il riconoscimento da solo. È’ come se dentro di se dicesse: ” Poiché fuori non c’è niente di buono, ora ritirerò il mio interesse dall’esterno e mi darò da solo il mio apprezzamento. Io sono interamente buono e fuori tutto è male! ”. Naturalmente questo è un esempio dei casi estremi. “ Uno scarso riconoscimento e soddisfazione dei bisogni di rispecchiamento e fusione del bambino, evidenziato dalle osservazioni di Kohut e precedentemente di Balint, producono la formazione del narcisismo patologico (sé grandioso) e/o dell’atteggiamento compiacente nella forma dell’idealizzazione dell’altro da sé

(imago parentale idealizzata) ”6.

Gli psicotici dell'estremità sinistra sono dotati di una grande sensibilità, al contrario dei narcisisti che ne sono totalmente sprovvisti, e sono in grado letteralmente di “ leggere nel pensiero ”. Sarebbero bravissimi nella tecnica del " doppiaggio ", perché sanno identificarsi perfettamente in ciò che può succedere dentro una persona, ma essendo troppo spaventati per stare in contatto con la propria interiorità devono interrompere continuamente il contatto con essa oltre che col mondo. Per fare una metafora, gli psicotici vedono l’altro come se guardassero con un cannocchiale e dunque questo risulta essere troppo vicino, al contrario i narcisisti vedono l’altro come se usassero un cannocchiale rovesciato ove l’immagine è lontanissima anche se si è a pochi centimetri di distanza.


3.Come vive questa persona? Quale è la situazione della sua relazione oggettuale?

Oltre alla relazione terapeutica, per quanto soddisfacente possa essere, è necessario tenere presente anche il contesto interpersonale con il quale e nel quale vive il paziente. Bisogna chiedersi se il paziente vive solo o in una famiglia e come è composta e come è il suo eventuale rapporto con i suoi membri. Se ha amici intimi o altre persone con cui parlare e condividere i propri vissuti, se ha qualche altro sistema di sostegno. Inoltre, ha un lavoro o delle attività che lo impegnano durante la giornata? Ha interessi, hobby, attività sportive, ecc.? Oltre a ciò si deve tenere anche presente la sua rappresentazione interna degli altri, di come li vive e di quanto egli stesso si permette di esprimersi. In caso per esempio uscisse da una seduta di Body Work con un grande senso di tristezza come potrebbe assorbirla nella sua vita quotidiana? Il contesto in cui vive è disponibile o in grado di contenerlo e sostenerlo in questa esperienza? E’ importante fare una sorta di “ proiezione esterna ” di come il paziente potrebbe affrontare e metabolizzare il proprio vissuto. Certo sarebbe difficile assorbire la propria tristezza vivendo in un ambiente degradato, violento, sporco e insensibile. Ovviamente bisogna un po’ prevedere queste cose per non correre il rischio che per esempio la tristezza diventi disperazione, la rabbia un impulso omicida e la paura un attacco di panico.

Io applico questo metodo frequentemente all’interno di gruppi di formazione o di psicoterapia stabili, anche se in una fase avanzata del lavoro, perché il gruppo stesso funziona da struttura di sostegno. Le persone si aiutano e si capiscono e questo è un ottimo sopporto. In alternativa quando lo pratico in sedute individuali offro la mia disponibilità ad essere contattato in caso di necessità anche fuori dalla seduta per esempio telefonicamente, allargando provvisoriamente ed esclusivamente per queste circostanze i confini della cornice terapeutica.


Fase dei movimenti più ampi

Portando avanti il lavoro con le emozioni si può giungere alla stadio successivo in cui il paziente, nella migliore delle ipotesi, avendo integrato un po’ della sua esperienza “ congelata ” nelle contrazioni corporee, sente di aver liberato qualche cosa nel corpo. C’è un respiro più ampio, un movimento delle gambe e delle braccia più libero, più armonioso. Una volta un paziente mi ha




6 S. Mazzei, “ Relazione di Oggetto: Contatto e Crescita”, Rivista “IN Formazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia” n.2 “Psiche e Teatro”,

I.G.F.s.r.l. Editore, Roma , 2003


riferito di sentirsi molto più alto, come se un grosso peso gli fosse cascato dalle spalle. Ci può essere anche un aumento del movimento, come un brio, una maggiore eccitazione corporea ma in modo più rilassato del solito. Si nota che si sono chiuse delle gestalt e il paziente può permettersi qualche sospiro di sollievo.

In generale trovo che le 4 fasi del processo corporeo appena descritte abbiano una notevole somiglianza con i 4 momenti del ciclo del contatto di cui si parla nella teoria gestaltica, cioè:

fase dell’incubazione / Pre-contatto

fase dei tremori / Presa di Contatto

fase delle emozioni / Contatto pieno

fase dei movimenti più ampi / Post-contatto – Ritiro


In realtà lavorare con il corpo significa individuare, elaborare ed integrare i cinogrammi che sono proprio delle gestalt aperte a memoria corporea e quindi, a ragion veduta, si tratta proprio dello stesso processo utilizzato con la psicoterapia gestaltica quando viene individuato e trattato un unfinish business , solo che si usa un altro metodo.



IL LAVORO CON LE EMOZIONI

La regressione

Una delle principali caratteristiche del Body Work è la sua particolare tendenza alla regressione. Naturalmente questa non avviene automaticamente e non sempre ma è frequente l’esperienza di contatto con fasi antiche della propria vita in quanto queste esperienze continuano ad essere “ ricordate ” più che dalla nostra memoria dai cinogrammi corporei. Quando si lavora all’apertura del respiro le contrazioni possono sciogliersi attraverso il processo corporeo e ciò può permettere di mostrare le ragioni per cui si sono instaurate. Come ho già detto lo schema corporeo di fatto è una strategia di sopravvivenza ad una realtà che non poteva essere altrimenti sopportata nel tempo in cui è accaduta. Magari si era molto piccoli e non c’era spazio né attenzione per i nostri bisogni e di conseguenza queste circostanze negative hanno richiesto un adattamento forzato. Durante la seduta, anche se il paziente dovesse parlare di eventi attuali, soventemente questi sono dunque in qualche modo connessi e certo in relazione con eventi precedenti in cui si è manifestata la gestalt significativa che ha originato il modello corporeo di risposta. Attraverso il lavoro terapeutico di esplorazione e di focalizzazione sugli elementi che emergono si possono ritrovare queste connessioni con l’infanzia e c’è la possibilità di risperimentare con grande intensità quelle stesse esperienze.

Si può risalire indietro nel tempo e risperimentare le esperienze vissute quando si sono formati gli Internal Working Models di Bowlby, cioè i modelli mentali del sé e delle persone significative del mondo circostante che determineranno poi la percezione e quindi il modo in cui si vivranno le esperienze. Si può comprendere dall’interno il senso delle “ rappresentazioni di esperienze interattive generalizzate ” di cui parla Stern secondo cui, poiché la natura della mente è diadica in quanto l'intrapsichico evolve insieme all'interpersonale e si basa fondamentalmente sullo scambio affettivo, le esperienze che si ripetono costantemente nella vita del bambino conducono quindi ad una specifica rappresentazione di sé e dell'oggetto . Questo è lo stesso concetto che troviamo anche in Kernberg che definisce unità sé-oggetto le relazioni oggettuali interiorizzate che rappresentano una immagine del Sé in relazione a una immagine dell'altro (oggetto) unite e “ colorate ” da un preciso stato emotivo. Ciò significa che successivamente nella nostra vita noi tendiamo a metterci in relazione con gli altri in base alle somiglianze o almeno a quelle che riteniamo tali delle persone con queste memorie degli oggetti dentro di noi e che tendiamo a rispondere a questi oggetti in modo simile a come abbiamo risposto in passato a quelli originari. Per esempio se qualcuno dovesse ricordarci nostro padre noi tenderemo a sentirci come bambini e a


vedere l’altro con le caratteristiche di nostro padre. Per Kernberg ci sono moltissime unità sé- oggetto che abbiamo interiorizzato e tutto ciò tende a deformare severamente la nostra percezione E’ bene comunque sottolineare che per Kernberg in queste relazioni oggettuali interiorizzate l’individuo “ ci mette del suo ” e cioè ci aggiunge anche suoi aspetti “ innati ”, pulsioni che provengono dall’ Es e che quindi non sono solo frutto del suo contesto. Allo stesso modo, tornando indietro nel tempo, si potranno anche risperimentare quelle circostanze avvenute quando sono state messe le premesse per la formazione del nostro carattere ( enneatipo ). C’è infatti anche la possibilità di regressione ulteriore ai primi due anni di vita 7 e rivivere i problemi che si sono manifestati attraverso i sei tipi di interazione pre-edipica di cui ha parlato la Mahler.

Infine non è rara l’esperienza del rivivere la propria nascita. Naturalmente tale vissuto non dovrà necessariamente corrispondere alla realtà degli eventi per come effettivamente sono accaduti poiché su questo punto al momento non può esserci alcuna certezza. Secondo me questa esperienza rifletterà piuttosto il modo in cui il paziente l’ha vissuta o meglio ancora il modo in cui la vive adesso dentro di sé. D’altra parte in questo lavoro più che mai bisogna abbandonare la pretesa dell’oggettività per abbracciare piuttosto il senso e il vissuto che il paziente ha o ha avuto di ciò che gli è accaduto in quanto solo passando attraverso il suo modo personale di vivere l’esperienza è possibile trovare una risposta e soluzione altrettanto personale alle sue difficoltà. Ad ogni modo è frequente che nello stato regressivo il paziente dichiari di sentirsi come un bambino piccolo o di rendersi conto solo del proprio viso e del collo, come fossero le uniche parti del suo corpo ad essere vive e presenti mentre il resto gli appare più sfocato e lontano. Di solito questa esperienza è in relazione al fatto che sta rivivendo un periodo preverbaIe della sua vita in cui era appunto solo occhi, bocca e collo mentre il resto non era ancora percepito e quindi non in primo piano. Quando lo stato regressivo è così arcaico ci si deve naturalmente sempre chiedere se è il caso di far entrare di più il paziente in questa condizione e quindi dovranno essere prese in considerazione le premesse psicodiagnostiche di cui ho parlato sopra. In generale la scelta dipende da quanto è fragile e spaventato nel momento del lavoro e a che punto è con la terapia. Se si pensa che il paziente sia in grado di tollerare questi forti sentimenti allora si entra di più nella gestalt che sta via via emergendo e lo si incoraggia a stare in questa condizione del sentirsi piccolo aiutandolo ad entrare e sentire maggiormente l’esperienza del corpo. Naturalmente lo si deve adeguatamente supportare decidendo in che modo rapportarsi con lui, se stare più vicino o più lontano, se parlare o stare in silenzio, affinché possa sentirsi al sicuro e protetto. In questa fase in sintesi si aiuta il paziente a:

1)Esplorazione del processo corporeo ed osservazione degli impulsi motori presenti. Si nota quali sono e cosa vuole succedere nel corpo.

2)Definizione del contesto e della circostanza che sono in relazione con il vissuto regressivo del paziente. Lo si aiuta a divenire più consapevole di ciò che gli sta accadendo intorno a sé nel suo mondo interpersonale nel tempo che sta rivivendo: “ Dove sei, chi c’è intorno a te, cosa sta succedendo?” , ecc.

3)Scoprire quale è il desiderio che ogni stato regressivo contiene e a volte quale è la minaccia poiché come ho detto gli stati regressivi possono essere sia positivi che negativi e in quest’ultimo caso il desiderio potrebbe appunto essere quello di voler protezione dalla minaccia stessa.

Quando si manifestano questi stati regressivi in generale significa che c’è qualcosa che si sta risolvendo, che si sta realizzando, una integrazione con alcuni eventi della infanzia che hanno creato un blocco, una interruzione nello sviluppo. E’ come se si riprendesse da dove ci si era interrotti, ovvero che il vecchio impulso alla crescita riprende a funzionare. Questa esperienza può comunque spesso mettere il paziente di fronte alla necessità di elaborare un qualche tipo di lutto di natura affettiva, egli si dovrà confrontare con la perdita di alcuni suoi sogni e aspettative sui suoi genitori o comunque su persone che sono state importanti nella sua infanzia. In genere questo processo di lutto comincia a un certo punto della terapia, spesso in una fase un po’ avanzata e dura




7 S. Mazzei, “ Principi della Body Psycotherapy: tra terapia della Gestalt e teoria delle relazioni oggettuali “, Rivista “Qui e Ora” n. 1, Mazzei Editore, Cagliari,1992


qualche tempo. E’ un fatto positivo anche se quando si manifesta si possono sperimentare sentimenti abbastanza difficili quali senso di vuoto, tristezza e rabbia. Il paziente può anche avere la sensazione di trovarsi come all’interno di un lungo ed oscuro tunnel, in una condizione di transizione, con la paura che questa condizione non finirà mai, che non ne uscirà più e che quindi potrebbe durare per sempre. In questa fase bisogna confortarlo alla luce della propria esperienza rassicurandolo che col tempo anche questa esperienza verrà superata. Lo si esorta però a stare con il suo sentimento di lutto e di perdita almeno per qualche tempo e a fare del suo meglio per essere in questo frangente particolarmente buono con se stesso. Non bisogna dare dei messaggi del tipo " devi stare bene " o " devi essere vitale " o “ reagisci ” ecc., ma piuttosto “ stai con il tuo dolore ”, “ lascia che ci sia per lui un piccolo spazio dentro di te ”, “ permettilo ”, ecc. Lo si incoraggia inoltre a trovare un proprio rituale, un proprio modo per affrontare questo passaggio e lo si invita a considerare questa esperienza come temporanea oltre che straordinaria per il suo sviluppo.

In questa fase possono emergere mille ricordi, speranze legate alle proprie aspettative che i genitori “ alla fine cambieranno” , che “ si renderanno finalmente conto ”, “ che alla fine capiranno ”, ecc. Molte illusioni vengono rivissute e abbandonate. Come risultato di questa esperienza si potrà comprendere ciò che è accaduto nella propria vita in relazione al rapporto con i propri genitori, si sentiranno le vecchie emozioni legate a queste esperienze e infine si arriverà a un lasciarli andare, a separarsi da loro interiormente e a dare un profondo addio, a chiudere con quel periodo dell’infanzia. Questo potrà poi permettere alla persona di sentirsi finalmente libera dal proprio carico di sentimenti sospesi e cristallizzati nel suo passato. E’ un po’ come dire “ addio mamma ”, “ addio papà ”, “ ora sono grande e vado da solo ”. Lo si dovrà fare da qualche parte dentro di sé.

Più avanti nella terapia si potrà compiere un passo ulteriore e lavorare alla possibilità di perdonare i propri genitori per le loro mancanze avendo una comprensione più profonda degli eventi, comprendendoli maggiormente come esseri umani con i propri limiti, ma a questo ci si dovrà arrivare senza incoraggiamenti né forzature. Dovrà accadere naturalmente.


Sulla relazione

Quando si lavora per aiutare il paziente nella regressione ad eventi antichi è fondamentale essere in una buona relazione. Come si dice, il paziente deve avere un transfert positivo nei confronti del terapeuta come del resto il terapeuta deve avere un controtransfert altrettanto positivo nei confronti del paziente. Se c’è un buon transfert/controtransfert allora si può lavorare.

La ricerca psicoanalitica recentemente ha sottolineato l’importanza dell’identificazione reciproca nel rapporto terapeutico. La Kainer sostiene che “ l’analizzando deve riuscire a identificarsi con qualche aspetto dell’analista, e lo stesso deve poter fare l’analista rispetto all’analizzando ”8. Questo tipo di sintonia è detta “ empatia immaginativa ” che quando percepita durante la seduta dal paziente può essere di grande giovamento alla cura se non la cura stessa.

Il concetto di “ oggetto trasformativo ” trae origine dagli studi di Bion e più recentemente di Bollas ed è anche ben espresso nell’esperienza della “ interiorizzazione trasmutante ” di Kohut secondo cui il terapeuta può essere di aiuto al paziente solo a condizione che esista una ben definita alleanza terapeutica tra di loro e che il paziente possa sentirsi di valore e importante per il suo terapeuta tale da poterlo interiorizzare come appunto un “ oggetto trasformativo ” esterno attraverso la cui “ interiorizzazione ” (di oggetto buono) entro di sé egli possa cambiare ( trasmutare ). Il paziente deve dunque sentirsi al sicuro oltre che compreso e contenuto durante il proprio processo di esplorazione regressiva.

Naturalmente se la circostanza o la relazione in qualche momento del processo terapeutico dovessero risultare particolarmente difficili è sempre opportuno parlarne con frasi del tipo:” Ho l’impressione che ci siano delle difficoltà. C’è qualche problema con me? Se è così allora ti chiedo per favore di parlarne ”. Qualora questa esplorazione ed eventuale chiarimento funzionassero allora si può andare avanti altrimenti è meglio aspettare un momento migliore.





8 R. K. Kainer , “Il crollo del sé e la sua ricostruzione in terapia”, Astrolabio, Roma, 2000


Tecniche specifiche

Ho già riferito nel mio precedente scritto sui “ passi di transizione ”, che sono quelle tecniche particolari, valide a mio avviso sia nel lavoro con il corpo che nelle sedute gestaltiche ad orientamento più verbale, per esplorare e contestualizzare i processi psicologici in atto durante la seduta. Si applicano in base alle circostanze in quanto per qualcuno può essere preferibile l’una piuttosto che l’altra come possono anche essere utilizzate tutte quante. Le riassumo qui brevemente:


Parole

Immagini

Gesti o movimenti

Suoni

Quando durante le fasi del processo corporeo cominciano a manifestarsi delle emozioni, non sempre il paziente le riconosce ed è per questo che è necessario aiutarlo a metterle più a fuoco.

Lo si può aiutare chiedendogli di “ parlare ” di ciò che sperimenta lasciandosi andare a qualunque idea o associazione gli venga in mente: “ Cosa sta accadendo? Ti va di parlarne?”

Un secondo strumento è chiedergli di farsi venire un’immagine in mente che possa in qualche modo rappresentare il suo stato. Una sorta di metafora. Per esempio: “ E se ti venisse un’immagine in mente che potesse rappresentare come stai, che immagine sarebbe? ”. Alcune risposte potrebbero essere: “ mi sento come un lupo ” o “ sono davanti a un muro” o “dentro una cassa ”, “ vedo una giostra ” o “ sto cadendo in un abisso ”, ecc. Oppure dando un altro significato all’immagine gli si potrebbe dire: ” Stai in contatto con ciò che stai sperimentando e osserva se ti viene in mente un’immagine di una situazione, di dove e in che tempo della tua vita potresti trovarti… magari in un luogo o con qualcuno in particolare ”. In questo caso magari potrebbe dire per esempio che vede la cucina di casa sua, o la sua stanza, o la scuola, e cosi via.

Oppure allo stesso modo, con lo scopo di aiutarlo a chiarire il proprio processo in atto, gli si può chiedere di esprimere la sua condizione con un qualche gesto o movimento che possa rappresentare la sua esperienza, ad esempio potrà essere un calcio, una spinta, un raggomitolarsi, un battere, un fare uno sberleffo, ecc.

Infine: “ Emetti un suono e lascia che si sviluppi per un po’ ”, dicendogli comunque che può liberamente sceglierne il tono, volume, intensità, ecc. e quindi potrà essere un urlo come un mormorio o un sibilare o un dire uffa, ecc.

Tutti questi “ passi di transizione ” vanno poi naturalmente contestualizzati. Le parole, le immagini, i gesti e i suoni si riferiscono certamente a qualcosa e a qualcuno e sono proprio i loro oggetti che si devono trovare ed elaborare.

Durante le fasi regressive uso frequentemente la classica tecnica dell’identificazione gestaltica, ovvero chiedo al paziente di essere quel bambino o bambina che sono stati cosi come l’immagine, il gesto o il suono che hanno espresso e dall’interno della esperienza che stanno vivendo di descrivermi il proprio vissuto e il contesto nel quale erano immersi.

Altrettanto importante allo scopo di risperimentare bene quei momenti trovo la tecnica di “ immersione ” che viene dallo psicoanalista ed esistenzialista svizzero Medard Boss. Si tratta di fare domande al paziente su particolari e dettagli della sua visione: “ Quanti anni hai? Come sei vestito? Dove ti trovi? Sei in una casa, in una stanza? Sei in piedi o seduto? Cosa c’è intorno a te? Ci sono persone? Animali? Oggetti particolari? Ci sono odori? Suoni?, ecc.”. Oltre alla descrizione del contesto chiedo anche di riferire ciò che sperimenta davanti a tutto questo dopodiché procedo con il dialogo immaginario tra il paziente nel tempo della regressione e i diversi “ oggetti ” della sua visione: “ Immagina di trovarti di fronte a tua madre, giovane, al tempo della tua infanzia e di dirle ciò che stai sperimentando ”. Altrettanto si farà con il padre, i fratelli e tutti i personaggi che al paziente e al terapeuta sembrano risultare importanti in quel momento. Si porta poi avanti il dialogo tra il paziente e il suo oggetto. Naturalmente è un po’ difficile lavorare in questo modo con pazienti


che hanno tendenze all’acting-out. In questo caso si potrà solamente esplorarne la situazione e cercare di ricostruire insieme il significato di quell’esperienza. Se il paziente fosse in ansia o in panico non è necessariamente detto che non si possa lavorare col corpo. Si può fare comunque ma bisogna trovare un modo che vada bene per lui ed è sempre meglio che sia lui a decidere. Gli si chiede quindi il permesso di andare avanti. Qualora invece lo stato di panico fosse difficilmente sostenibile allora si può anche interrompere ma è importante dare un messaggio sia verbale che non verbale come se non si trattasse di una cosa troppo grave. Si può dire per esempio:” Credo che vada bene interrompere adesso. Hai preso contatto con una esperienza molto forte e forse è meglio affrontarla a più riprese, ora magari ne parliamo per un po’ e poi, se vorrai, ci ritorneremmo la prossima volta. In questo modo il paziente può avere la sensazione che l’esperienza sarà prima o poi superabile e non sentirà il fallimento.

In generale bisogna sempre sostenere il paziente sul suo valore dell’aver avuto il coraggio di fare l’esperienza. Va bene concludere le sedute con frasi del tipo:” Credo che tu abbia fatto un ottimo lavoro ”. D’altra parte in fondo questo è sempre vero perché ognuno va fin dove può! Inoltre bisogna sapere che ci sono dei giorni in cui si riesce ad entrare nelle cose e dei giorni in cui non si va avanti, come sempre nella vita. E’ bene inoltre tenere presente che quando in regressione si torna al passato si possono trovare sia esperienze negative che anche positive ed è importante sapere sostenere anche queste senza squalificarle in quanto magari non sono abbastanza “ drammatiche” . Comunque, è ben auspicabile che si riesca a ritrovare la vecchia strada ove ci si è interrotti perché in quel tempo non era possibile percorrerla. L’ipotesi teorica dell’intero processo è di andare al punto di interruzione ed esprimere i sentimenti che lo hanno bloccato. Si torna indietro e si cerca di fare qualcosa di meglio. Questa posizione corrisponde al concetto di “ nuovo inizio ” dello psicoanalista ungherese Balint. Lavorando con il corpo queste cose possono succedere.

Il doppiaggio ( dubbing ) è una tecnica che viene dallo psicodramma di Moreno e può essere molto utile per aiutare il paziente ad esprimere i suoi vissuti qualora si trovasse particolarmente bloccato o in difficoltà espressiva. Il terapeuta parla al suo posto agli oggetti a cui si riferisce l’emozione che il paziente vive esprimendo ciò che il terapeuta crede che non osi dire. Si sta un po' più indietro del paziente mentre questo, nella sua posizione distesa, guarda di fronte a sé immaginando che ci sia la persona a cui si parla. Il doppiaggio si fa soltanto dalla parte del paziente e non dalla parte della sua immagine, a parte qualche circostanza particolare in cui si crede che possa essere utile altrimenti. E’ molto importante durante questa esperienza osservare i segnali non verbali del paziente e come sembra reagire alle nostre dichiarazioni. Eventualmente si dovessero notare delle contraddizioni nel suo comportamento è importante indicarle. Quando il terapeuta doppia il paziente nei confronti dell’oggetto della sua immaginazione, il paziente non deve ripetere le sue parole, anche se può farlo qualora volesse, ma piuttosto deve dire se gli va bene o meno quanto è stato detto. In generale si deve cercare di usare frasi brevi e semplici nei limiti del possibile e sempre verificare se il paziente è d’accordo. Se il doppiaggio non fosse corretto per il paziente il risultato terapeutico sarebbe comunque positivo poiché il paziente avrebbe la possibilità di modificare la comunicazione correggendo il doppiaggio e in definitiva chiarendo a se stesso la natura della dinamica. Può essere utile per il terapeuta, mentre fa il doppiaggio, se cerca di identificarsi il meglio possibile con il paziente, magari anche imitando il modo in cui si siede e respirando come lui per cercare di captare la sua condizione.

Oltre a queste tecniche finora descritte ne utilizzo numerose altre che prendo dalla mia esperienza gestaltica e che ovviamente applico in base alla circostanza.

Tra le più frequenti ci sono:

Il continuum di consapevolezza, che utilizzo in modo particolare quando sembra che il processo stia attraversando un momento di impasse , in questo caso posso chiedere al paziente di fare una specie di cronaca in diretta di ciò che gli sta accadendo, cioè cosa avviene momento per momento nel suo corpo, nelle emozioni e nei suoi pensieri.

Quando magari è in contatto con una particolare difficoltà, con un sintomo che non riesce a sentire bene, a definire chiaramente, posso applicare la tecnica della esagerazione del sintomo


chiedendogli quindi di aumentare più che può per esempio il fastidio, la tensione o la tristezza che sperimenta quasi con una smorfia, in una caricatura esagerata e di stare un po’ con questa esperienza per conoscerne meglio la forma dopodiché gli chiedo di rilassarsi nuovamente e di descrivermi ciò che ha vissuto.

Un’altra tecnica ben conosciuta è quella del “ parlare a … piuttosto che parlare di …” , in altre parole quando per esempio il paziente ha qualcosa da dire sulle persone con cui è o è stato in relazione, piuttosto che “ parlarmi di loro ” gli chiedo di “ parlare a loro ” immaginandoli come se fossero di fronte a sé.

In molte altre circostanze il paziente può aver inoltre bisogno di un piccolo aiuto per divenire meglio consapevole delle sue dinamiche intrapsichiche o interpersonali, di una sorta di trampolino di lancio per l’espressione ed alcune possibili ispirazioni possono venire dal completamento di particolari frasi di cui sotto metto un esteso elenco che proviene dalla letteratura gestaltica:

sono consapevole di ...

sto provando …

sto evitando di …

sto evitando di rendermi conto che ...

sto cercando di darti l’impressione che …

rifiuto di sentire …

ciò che voglio da te e’ …

ho voglia di …

io non voglio …

ti controllo con ...

ciò che non sto dicendoti ora e’ …

io pretendo …

io rifiuto di …

non sopporto che ...

se prendessi un rischio con te io …

per farti piacere io …

cerco di piacerti con ...

mi sento eccitato/a dal tuo …

ho paura che tu pensi che io …

mi piacerebbe darti …

se ti dicessi ciò che sto sentendo ora …

il gioco che sto giocando ora e’ …

se agissi d’ impulso proprio ora …

sto sabotando la nostra relazione con …

e’ ovvio per me che …

se fossi onesto con te proprio ora ti direi che ...

se diventassi pazzo proprio ora io …

ti do il permesso di …

proprio ora io …

mi piacerebbe che tu …

proprio ora ho paura che …

se mi arrabbiassi con te …

non …

non posso scioccarti con …

voglio dirti …

se io ti toccassi …


mi aspetto che tu …

cerco di piacerti con …

ti tengo distante da me con …

vorrei che tu mi conoscessi se …

le mie aspettative per i prossimi minuti sono …

io rifiuto di guardare in faccia …

ho paura che ...

se mi lasciassi andare io ...

ce l’ho con ...

mi trattengo dal ...

non voglio renderti partecipe del mio, la mia ...

ho paura che tu pensi che io ...

non mi permetto di ...

voglio dirti che ...


Naturalmente vi sono molte altre possibili frasi che possono essere usate nelle diverse circostanze e sta al terapeuta la decisione di utilizzarle in base alla sua percezione del paziente e della sua situazione.

Quando si lavora in contesto di gruppo può inoltre rivelarsi preziosa la possibilità di proporre al paziente, al termine della sua seduta di Body Work, di sperimentare diversi tipi di possibili interazioni con il gruppo allo scopo di integrare vissuti e risoluzioni emerse nella sua seduta.


TECNICHE CORPOREE SPECIFICHE DI LAVORO CON LE EMOZIONI

Il lavoro con la rabbia

La rabbia è una risposta istintiva alla frustrazione dei bisogni. La sua pulsione implicita, come peraltro è evidentemente espresso nel senso della parola sanscrita " rabbahs " da cui sembra trarre origine, è quella di "fare violenza", che è una tipica reazione del mondo umano e animale quando si subisce o si crede di aver subito un qualche tipo di torto, offesa o aggressione sia fisica che psicologica. Come conseguenza di ciò si può sperimentare e manifestare la voglia di distruggere, punire, graffiare, mordere, prendere a pugni o a calci, fare a pezzi l’oggetto da cui si è ricevuto il torto. Nel mondo animale la rabbia è funzionale alla sopravvivenza perché fornisce quella carica necessaria per difendersi dagli attacchi e dalle aggressioni come anche per avere maggiori possibilità di accoppiamento oltre che per difendere il proprio territorio e la propria prole. Nel bambino invece la rabbia ha piuttosto la funzione di comunicare alla madre uno stato di disagio con l’implicita richiesta che essa ne trovi un rimedio e sovente esprime la frustrazione di bisogni connessi con l'immagine e la realizzazione di sé quali di riconoscimento, rispecchiamento e rassicurazione . E’ un atto di autoaffermazione. Naturalmente questo non significa che la madre o il padre devono necessariamente provvedere a tutti i bisogni che sorgono nel bambino. E’ ovvio che i genitori hanno tutti i diritti di essere a loro volta limitati e di avere essi stessi rabbie o paure di cui sono più o meno consapevoli. Il concetto di madre “ good enough ” di Winnicott a mio avviso esprime bene il fatto che per crescere abbastanza sereni bisogna partire da una base sufficientemente solida e stabile ( costanza dell’oggetto ). La madre può e deve senz’altro aiutare il bambino a sopravvivere nutrendolo, avendo cura della sua salute, dandogli protezione e affetto ma non può certo risolvergli tutti i suoi problemi esistenziali. Nel crescere ci potranno essere e sicuramente ci saranno inevitabilmente delle aree della sua sensibilità che saranno frustrate nelle aspettative. L’individuo è sempre sospeso tra “ essere ” e “ divenire ”. Nell’essere il “ divenire ”, come anelito verso una condizione idealizzata di totale perfezione e benessere, è in potenza ma le azioni e gli atteggiamenti, affinché questo si realizzi, vanno inevitabilmente portati avanti e sviluppati da


soli quando anche i genitori siano stati mancanti di capacità. Non si può certo scaricare tutta la responsabilità di irrealizzazione delle nostre esistenze sulle mancanze genitoriali ma bisogna piuttosto essere disposti a costruirsi ciò di cui si ha bisogno da soli e magari andare più in là del punto limite dei propri genitori.

D’altra parte prima di realizzare una condizione di “ indipendenza ” si deve partire dalla originaria condizione di “ dipendenza ” ove è principalmente collocata la radice dell’emozione rabbiosa tenendo conto che questa non va “giudicata” ma piuttosto va compresa nella sua relatività. Si deve aiutare il paziente a comprendere le ragioni della sua “tendenza” a rispondere con rabbia a certe situazioni, l’origine del suo disagio. Con il Body Work, durante il processo regressivo possiamo spesso trovare questa radice della rabbia nei primi rapporti interpersonali con le prime figure di attaccamento ed è molto importante lavorare con queste gestalt aperte in modo particolarmente empatico mettendosi appunto dal punto di vista di un piccolo esserino dipendente in tutto e per tutto . E’ importante saper “ rispecchiare ” il paziente e questo non significa naturalmente riempirlo di stucchevoli cure materne. Come ci tiene a precisare Kohut: “ Il significato del rispecchiamento, l’essenza di questo concetto, non è che bisogna fingere con il proprio paziente, lodarlo e rispondergli e dire che è meraviglioso. E’ una cosa priva di senso. Bisogna invece mostrargli ripetutamente come egli si ritragga in modo difensivo perché prevede di non

ottenere ciò che desidera e non osa permettere a se stesso di sapere cosa desidera“. 9

Prima di arrivare al perdono e alla comprensione dei propri genitori bisogna passare dalla violenza e dalla ferocia che può essere stata vissuta nei loro confronti. La rimozione e la razionalizzazione non hanno mai risolto veramente il problema della rabbia.

Ci sono peraltro molte manifestazioni della rabbia e quando questa è molto intensa, come nel caso degli impulsi omicidi, è necessario rendersi conto se il paziente non ne è eccessivamente spaventato e se è in grado di sostenerli, altrimenti è meglio lavorare con una intensità minore. E’ anche importante aiutarli a rendersi conto che questi impulsi rappresentano solo una parte di sé e che vi sono anche altri aspetti che non vogliono attuarli. In questo caso si può anche fare al posto del Body Work una seduta gestaltica con tre sedie (una arrabbiata razionale e richiedente , una arrabbiata omicida e il padre o la madre, ecc. Spesso è presente una polarità del tipo: " Una parte di me vuole ucciderti e un’altra parte vuole che tu capisca ciò che mi hai fatto …” e possono esserci delle richieste : “Non accetto che tu … smettila di … basta con… ecc.

La rabbia quindi va accettata e per prima cosa ne va ricercato l’oggetto e il contesto di appartenenza. Una volta individuato si chiede al paziente di cominciare a parlare direttamente verso chi sente la rabbia e di immaginarselo davanti a sé e dire poi ciò che ha da dire. Ci possono essere frasi del tipo: ” Smettila … vai via … lasciami in pace … basta … uffa … stai più lontano… no, no, no… ”. In tutti questi casi si può decidere anche di praticare una attività motoria complementare dopo aver naturalmente chiesto il suo permesso. Per esempio se il paziente spinge in su con

le sue mani si può chiedergli se vuole una resistenza alla sua spinta. Se accetta si può premere con una certa forza, adeguata alla sua capacità di reazione. In qualche modo si deve trovare una misura di pressione/opposizione che il paziente sia in grado di respingere. Può anche essere utile farsi dire delle frasi che l’oggetto persecutorio gli potrebbe o avrebbe potuto dire, del tipo: “ Non vai bene … sbagli sempre … smettila … ” e ripetergliele con un tono di voce adeguato mentre si spinge. Lo si aiuta a lasciare uscire tutti i diversi sentimenti e alle volte può essere molto intenso specie nella fase di mezzo. Oltre che sulle mani è possibile con la stessa modalità premere sui piedi invitandolo a spingere.





9H. Kohut, “Lezioni di tecnica Psicoanalitica. Le conferenze dell'Istituto di Chicago”, Astrolabio, Roma, 1997


Se si è abbastanza forti e robusti il paziente può anche stringere il polso del terapeuta per comunicare la sua determinazione ma è meglio evitarlo se l’intensità dell’emozione è alta. Ricordo che quando Perls offrì a un paziente molto arrabbiato il suo polso per manifestare la pulsione della sua rabbia questi gli rispose che avrebbe anche potuto spezzarglielo, al che Perls, molto saggiamente, disse che forse in quel caso era meglio usare un cuscino. Quindi se per esempio il paziente volesse colpire anche con violenza si può

usare un cuscino e al limite anche un altro materasso per calciare. In caso volesse invece strozzare o strangolare può andare bene un asciugamano che il paziente potrà stringere e mordere a suo piacimento.

Naturalmente il paziente potrà anche esprimere la sua rabbia dando pugni e/o calciando sul materasso liberamente. E’ sempre molto importante che abbia chiaro l’oggetto intenzionale verso cui sperimenta le proprie emozioni e che usi la voce nella modalità che riterrà più opportuna nel rivolgersi a lui. Naturalmente lo si può sempre aiutare con il “doppiaggio” che può essere fatto, ricordo, sia con il suono che con il movimento. In questo caso si parlerebbe all’oggetto al posto del paziente trovando e poi verificando alcune frasi e un’intensità di espressione che vada bene per il paziente. Allo stesso modo si procederà con il movimento per esempio stringendo il pugno del paziente aiutandolo a muoverlo su e giù nel materasso. Quando l’espressione della rabbia si apre il movimento spesso può risultare molto coordinato e alternato tra pugni, piedi, voce e movimenti della testa che si

muove da destra a sinistra. Se la rabbia non esce o ha molta difficoltà ad esprimersi è possibile provocarla un po’, dopo aver chiesto il permesso al paziente, esercitando delle piccole pressioni con le dita su alcuni punti del volto ove spesso sono cronicizzate dai tempi più remoti della sua vita alcune tensioni. Quando si preme in questi punti è frequente sentire un po’ di male non solo per la pressione in sé che è poca cosa ma piuttosto per la resistenza muscolare. Il volto nei primi mesi di vita è la parte più differenziata del corpo del bambino perché è quella che è maggiormente in relazione con il mondo e il suo apparato muscolare è più sviluppato ed articolato del resto del corpo. La prima gestalt percettiva è quella tra i due volti della madre e del bambino.

Nella mascella e in modo particolare nel punto di unione tra mascella e mandibola c’è spesso molta tensione. Si può fare una pressione con gli indici o i pollici tra le guance per qualche secondo invitando il paziente a lasciar uscire un suono e poi rilasciare per un po’. Questa pressione spesso fa uscire una forte rabbia ed è opportuno cercare di metterla immediatamente in connessione con eventi vissuti e trattenuti dentro di sé. In generale questa tecnica va bene quando il paziente è abituato a lavorare con sentimenti forti, magari nella fase mediana della terapia.


Lavorando in questa area tra mascella e mandibola può frequentemente accadere che si possa aprire di più anche il bacino. In questo caso si può aiutarne il movimento chiedendo al paziente di afferrare le proprie caviglie e spingendo la sua zona lombare verso l’alto. L’azione dello spingere il bacino in avanti ha un significato molto affermativo, è come se si prendesse la decisione di cacciare via qualcuno. Durante la crescita si sono accumulate in questa zona molte paure di tipo sessuale e/o di essere feriti nelle zone vulnerabili.

L’instaurazione della contrazione è stato un modo che il

bambino ha usato per proteggersi nella zona inferiore. Quando pertanto il bacino sale questo è come un segno di forza, di esibizione della propria sicurezza. Questa tecnica sul bacino si può utilizzare oltre che per la rabbia anche per affermare il proprio diritto al piacere. In questo caso rappresenta quasi una specie di sfida nei confronti di tutti coloro che hanno cercato di inibirne la sua manifestazione.

Un altro modo per far uscire la rabbia è quello di premere con buona forza sulla mandibola e di chiedere al paziente di cercare di mordere la mano, magari invitandolo ad emettere dei suoni simili al ringhiare del cane. Si cerca di esaltare la sua ferocia ed è anche importante invitarlo a tenere gli occhi ben aperti e a far salire la rabbia anche su di essi, come accade appunto nei cani che quando sono molto arrabbiati hanno gli occhi che sembrano “iniettati di sangue”.

Infine un’ultima tecnica che uso frequentemente è quella di premere o con gli indici o con le nocche un po’ sopra l’arcata sopraccigliare dal centro verso l’esterno. Questa è spesso una zona molto contratta in modo particolare per mantenere stabile nei rapporti interpersonali l’atteggiamento di “ far finta di star bene ” come è spesso richiesto dalle convenienze sociali. Si fa per due o tre volte.

Naturalmente se il paziente si manifesta con uno stato negativo come la rabbia o anche come vedremo in seguito come la paura, si deve comunque essere sempre pronti alla possibilità di un cambiamento

repentino ad un’altra condizione che può essere sia di tristezza che anche positiva come una risata o uno stato di allegria. In questo caso bisogna sostenere quest’ultima condizione senza rimanere attaccati alla precedente e lasciare semplicemente che succeda. Dentro di sé il terapeuta deve solo compiere un’operazione di tipo cognitivo e cioè notare ciò che accade e registrare nella mente tutte queste informazioni. Le considerazioni che vanno fatte saranno del tipo: cosa si sta imparando di più dell’infanzia del paziente? Quali informazioni abbiamo avuto dal suo comportamento? Sono nuove o le avevamo già?


Il lavoro con la tristezza

Nel fare il lavoro con il corpo non bisogna avere fretta. Dare pugni e calci con la rabbia o piangere quando si è nella tristezza, tutto questo va quasi sempre in modo lento. Non si deve avere né dare l'idea che la vera terapia è quando si esprimono le emozioni; questa è una visione orientata alla catarsi ma in realtà tali esperienze sono solo una piccola parte della terapia e avverranno, se anche fosse necessario che si manifestino, al momento opportuno. Molti andranno piano e sarà più


importante per loro che riescano ad integrare qualche elemento, se pur piccolo, della propria esperienza passata nel momento presente. L'espressione più importante di un cambiamento che ci possiamo aspettare è che si verifichi una modifica dello schema corporeo del paziente, ovvero che si realizzi in lui un modo diverso, seppur piccolo, del suo modo di essere nel mondo.

Nell'espressione degli impulsi c'è sempre un punto di apice in cui ci si ferma e alla fine dei conti ci si può accorgere che la propria rabbia o pianto non sono così pericolosi. Naturalmente ciò non significa che l’esperienza non possa essere difficilmente sopportabile per qualcuno. In questo caso, quando un paziente entra in un sentimento troppo forte semplicemente lo si ferma. Gli si chiede di guardarci negli occhi e si parla con lui creando un po’ di contatto per due o tre minuti.

Come ho detto dei molti sintomi che si possono manifestare, se guardiamo più in profondità si può osservare che spesso questi sono sovradeterminati, ovvero che esistono molte cause che convergono alla loro formazione. Una parte di queste cause sono dette pre-edipiche (almeno riferendosi agli schemi evolutivi psicoanalitici) mentre altre sono dette edipiche. Per esempio nella formazione di una perversione in genere si pensa che ci sia qualcosa nella vita del paziente che è successa dopo la fase edipica (dai tre anni in su), mentre invece il segreto sta nel raggiungere il periodo pre-edipico che è quasi sempre più importante nella genesi delle cause.

Anche con la tristezza vale lo stesso discorso. In apparenza può avere a che fare con cause recenti o anche non troppo remote ma spesso se vi è l’opportunità di esplorare e di indurre una regressione a momenti più antichi possiamo ritrovarne la vera origine nel lontano passato.

La tristezza va ovviamente vissuta e non evitata. E’ necessario invitare il paziente a rimanerci dentro almeno per un po’ e osservarne lo scenario. Un senso di solitudine, di isolamento, debolezza e malinconia ha spesso a che fare con un legame materno vissuto negativamente e vi è sempre molta difficoltà in questi casi a mostrare le proprie ferite.

Un amore per la madre vissuto conflittualmente in generale può far insorgere nel bambino più spesso sentimenti di tristezza che di rabbia. Infatti nel lavoro con il corpo molto frequentemente dopo una prima manifestazione della rabbia emerge spesso la sua controparte che è la tristezza.

Come ha ben descritto la Klein dai 5 mesi in poi la posizione schizoparanoide originaria del bambino viene sostituita da meccanismi depressivi ( posizione depressiva ) attraverso i quali egli impara a limitare la propria aggressività per non perdere la relazione d'amore con la madre.

La tristezza infatti può anche essere la conseguenza del distacco da una figura idealizzata quando si è pronti per attuarlo. Dice Kohut, " Un vero disinvestimento del Sé può essere ottenuto soltanto da un lo integro e funzionale; ed è accompagnato da tristezza quando la carica energetica è trasferita dal diletto Sé sugli ideali sovra individuali e sul mondo con cui ci si identifica "10.

In altre parole la tristezza in questo caso risulterebbe essere la conseguenza della rinuncia alle aspettative infantili di unione con l’oggetto anelato: “ come sarebbe potuto essere solo se … ”, il superamento quindi dell’identificazione con quella parte di sé che continua a desiderare che prima o poi “ il sogno si realizzerà perché la madre capirà… ecc. ”, la qualcosa a lungo termine produce solo un impoverimento della vita psichica con una caduta di energia e di entusiasmo per il vivere quotidiano in generale e in modo particolare per le distrazioni ed i piaceri. Se questa tristezza non si dovesse superare o attenuare diverrebbe invece depressione che in sostanza esprimerebbe sia uno stato di tristezza e di passività che anche una forte rabbia.

Per superare questa condizione il paziente dovrà pertanto accettare e sperimentare le antiche emozioni di perdita provate ed elaborare definitivamente quel lutto del suo desiderio per poter procedere finalmente oltre le sue antiche aspettative. Dovrà metaforicamente “ girare le spalle ” al suo forte attaccamento e procedere da solo verso la vita scoprendo di avere le risorse per poterlo fare. In generale il modo di lavorare con il corpo è sempre quello di invitare il paziente a prendere contatto con il suo vissuto e a esplorarlo per mezzo dei passi di transizione: “ … si può dire al paziente di rimanere in contatto con questa emozione e di lasciarsi venire in mente delle parole in associazione. Potrebbe essere che vengano parole tipo: "mi manca tanto", oppure " mi sento solo"




10H. Kohut, “La ricerca del Sé”, Boringhieri, Torino, 2000


o qualunque altra cosa. Il passo successivo allora è quello di esplorare ciò che queste parole significano per lui. Le parole possono essere un ponte per avvicinarsi di più al suo tema. Se non vengono delle parole, si può chiedere al paziente di rimanere in contatto con la sua tristezza e di lasciarsi venire in mente delle immagini. Per esempio può venirgli in mente la sua casa o delle persone. In questo caso si esplora maggiormente:"rimani in questa casa e vedi cosa sta succedendo. Com'è esseri lì?" e così via. Si usano tutti i possibili segnali e li si amplifica. Se questi primi due "passi" non funzionano si può chiedere al paziente di fare un gesto o un movimento e questo può produrre altre associazioni. Infine, un altro aiuto viene dall'emissione di un suono. Si può dire al paziente: "stai con la tristezza ed emetti un suono che esca fuori da questa emozione". Il suono può aiutare a chiarire la natura e la qualità dell'emozione” 11 .

Una situazione speciale è quando il bambino perde una figura importante come la madre o il padre. Può facilmente accadere che il bambino interiorizzi dentro di sé l'immagine di questa persona perduta così preziosa e importante per lui come fosse un tesoro segreto che vive come un aiuto dall’alto di cui sente di non poter fare a meno, idealizzandola. Magari può aver immaginato, o possono averglielo fatto credere, che il defunto è in cielo e che da lassù lo vede, lo capisce e lo aiuta. E' importante comprendere come si è strutturata questa immagine nella mente del bambino perché è stata certamente una esperienza molto importante per lui in quel tempo in cui molto probabilmente c’è stata la tendenza e il bisogno di credere che la persona che è venuta a mancare sarebbe ritornata. La simbiosi è infatti una estrema difesa dall’esperienza di separazione/morte quando ancora non si sono sviluppate le risorse per evolvere verso la differenziazione dall’oggetto primario.

Quando emerge la tristezza che per esempio si manifesta con il pianto, dopo un po’, e in modo particolare se la situazione tende ad essere molto intensa e drammatica, si può prendere la mano del paziente e anche eventualmente girare il suo corpo in un fianco, in posizione fetale e fare contatto con un abbraccio. In genere non c'è bisogno di fare di più.

Se al contrario il paziente non piange ma sperimenta comunque tristezza, possiamo dare il messaggio che continueremo a lavorare sul respiro per poter entrare un po’ di più nella sua emozione; potremo

dire:" Rimani con la tristezza… se piangi è o.k., se non piangi è o.k.". Alle volte può essere necessario rimanere con il paziente in silenzio empatico per un po’ di tempo. Il più delle volte questo può aiutare ad attraversare la “solennità” della sua esperienza.

Una buona tecnica è anche dire: " Stai con la tristezza e continua con la respirazione ... emetti un suono e cerca di collegare questo suono con la tristezza ”, oppure si può continuare ad aiutare a favorire l'espirazione con una maggiore pressione sul torace. Infatti molte persone cercano di controllare il proprio petto per non far venire fuori la tristezza. In questo caso si può mettere sia una mano sul torace che una sulla testa.


Il lavoro con la paura

Bion diceva che “ quando ci si accosta all’inconscio è inevitabile, tanto per il paziente che per l’analista, essere turbati ” e aggiunge poi che “ in ogni studio di analista dovrebbero esserci due persone piuttosto spaventate: il paziente e lo psicoanalista. Se non sono spaventati, c’è da domandarsi perché si prendono il disturbo di scoprire quello che tutti sanno ”12.

Questa premessa sottolinea la necessità che quando si manifesta la paura, nel Body Work è necessario andare più cauti che con le altre emozioni. Si è in un terreno più difficile e spesso ci si può perdere. La paura è una emozione egodistonica (che allontana dal proprio centro) a differenza





11 S. Mazzei, “ Principi della Body Psycotherapy: tra terapia della Gestalt e teoria delle relazioni oggettuali “, Rivista “Qui e Ora” n. 1, Mazzei Editore, Cagliari,1992

12 Bion W.R., “Il cambiamento catastrofico”, Loesher, Torino 1981.


della rabbia e della tristezza che sono prevalentemente egosintoniche , cioè che hanno la proprietà di farci sentire maggiormente interi, più coesi.

Le emozioni sono innate, universali e hanno basi biologiche. Stroufe13 sostiene che solo

dagli 8 mesi in su si potrebbe presentare l’esperienza della paura nella psiche del bambino, in quanto le emozioni si strutturano successivamente ai loro precursori del piacere e della frustrazione che evolvono dalle nascita sino ai tre/cinque mesi di vita per divenire solo dopo emozioni vere e proprie come la gioia, la rabbia, ecc.

Attraverso l’apertura del respiro si possono presentare molti tipi di paura e molte di queste possono essere collegate con quelle più arcaiche. Tra le più comuni c’è la paura di impazzire, la paura di aver paura , di essere sommersi, che si crolli, che si collassi, della propria rabbia, della punizione, del giudizio, della vergogna, ecc., e certo anche per il terapeuta non è tanto facile avere a che fare e trattare queste esperienze. Infatti è difficile stabilire un vero contatto empatico con il paziente se l’approccio è di natura cognitiva piuttosto che esperienziale. Bisogna rendersi conto della difficoltà ed essere davvero vicino intimamente al paziente quando si immerge in questi stati di coscienza.

Winnicott ha descritto cinque stati particolarmente angosciosi da lui chiamati “ agonie primitive ” 14 ove la paura è connessa con i cosiddetti “ eventi primitivi impensabili ”, che si sono dovuti rimuovere dalla consapevolezza nel momento in cui si sono manifestati nell’infanzia in quanto considerati insostenibili. In realtà si continua ad avere questa coscienza nel fondo di se stessi anche nella vita adulta e succede spesso che si abbia paura che il sistema difensivo possa “ crollare

facendo fuoriuscire questo materiale angoscioso da cui si potrebbe venire sommersi .

Molti degli stati angosciosi primitivi elencati da Winnicott sono molto simili nella sostanza dell’esperienza alle “ fantasie e angosce persecutorie ” della Klein e al “ terrore presimbolico ” di Kohut.

Per la Klein ,lo spaventoso impatto di figure persecutorie nella fantasia del bambino come quelle dell’essere distrutto, mangiato, fatto a pezzi, disintegrato… esprime e manifesta l’istinto di morte, quella terrificante esperienza ove il bambino cerca continuamente di espellere dal suo interno il bombardamento di questi elementi disgreganti ma che non sarebbe in grado di reggere senza l’Io ausiliario della madre” … e per Kohut invece il terrore presimbolico ”…si sperimenta come perdita del senso della realtà. Si perde la percezione di sé e dell’altro. Non si ha più un centro. E’ come se tutto svanisse o si alterasse. Non vi sono più punti di riferimento. Manca il terreno sotto i piedi. Non si sa più chi si è o chi sono gli altri. Ci si sente senza alcuna protezione. Non si sa come o dove stare. Ci si sente dentro un’infinita scomodità. Si cade in un abisso di paura. Ci si

smarrisce .” 15


Gli stati angosciosi di cui parla Winnicott sono:

Il ritorno a uno stato non-integrato . E’ la paura della disintegrazione , cioè di una condizione di frammentazione interna che toglie il senso della propria interezza. Nel lavoro terapeutico ci si può sentire spezzati, scissi, divisi in diverse parti. E’ la paura della psicosi.

Cadere per sempre . E’ la paura del crollo psicologico e di cadere, cadere, cadere in un abisso senza fine da cui si viene inghiottiti . E’ analogo al venir divorati.

Perdita dell’unione psicosomatica . Vissuta nel Body Work è sostanzialmente la paura che il corpo non regga, che la pressione interna salga troppo e si scoppi , che possa venire un infarto o un ictus, e in fondo è la paura di morire.

Perdita del senso di realtà . La paura di perdersi, della confusione, di non capire più nulla e di non sapere più chi si è (terrore presimbolico).





13 Sroufe L. A. “Lo Sviluppo delle Emozioni. I primi anni di vita”, Raffaello Cortina Edizioni, Milano, 2000

14 Winnicott D.W. “ La paura del crollo”. In “ Esplorazioni psicoanalitiche ”. Milano, Cortina, 1995

15 Mazzei S., “ Ti vedo, ti sento, ti accompagno. In cerca di risposte nell’esserci empatico ”. Rivista “IN Formazione Psicoterapia-Counselling- Fenomenologia” n°16 , Giugno/Dicembre 2010, I.G.F. s.r.l. Editore, Roma.


Perdita della capacità di mettersi in relazione agli oggetti . Il mondo diventa un incubo, si ha paura di essere sopraffatti e si sente il bisogno di fuggire sino in casi estremi al ritiro autistico o alla catatonia.


Tutte queste sono paure molto profonde che possono influenzare anche quelle più superficiali ma ovviamente in questi casi si tratta di condizioni estreme e naturalmente quanto si manifesta nel lavoro con il corpo ha generalmente caratteristiche molto più lievi. Comunque durante la regressione del lavoro sul corpo, quando e se dovesse emergere la paura, bisogna sempre chiedere al paziente se gli va di esplorarla per un po’, ben sapendo ovvero informandolo che può interrompere il processo in un attimo quando egli lo volesse. Se il paziente accetta allora si può procedere nel tentativo di contestualizzarla ed è bene ricordare che in generale con la paura è sempre meglio che il paziente tenga gli occhi aperti. Gli si possono fare delle domande del tipo: “ Dove ti trovi? … chi c’è con te ?… sei solo?... cosa sta succedendo? quanti anni hai? …, ecc. ”.

Si va in “ immersione ” e si cerca di esplorare la circostanza con la quale è collegata la paura.

Può essere molto utile se il paziente riesce ad emettere un suono, forte quanto la sua paura, lasciandolo uscire e dirigendolo verso l’alto. In genere la paura della paura blocca il suono e pertanto se questo viene espresso significa che la paura diminuisce e si sente maggiore sicurezza.

Una buona tecnica, simile a quella dell’ esagerazione del sintomo gestaltica, è quella di chiedere al paziente di aprire i suoi occhi più che può o addirittura di spalancarglieli con le nostre dita chiedendogli di immaginare di aumentare il più possibile la sua paura e di mandarla fuori con un suono, un urlo di terrore, verso il soffitto e oltre fino ai confini dell’universo. Lo si fa per qualche secondo e per diverse volte. Se il paziente riesce ad aumentare la sua paura egli diviene paradossalmente anche in grado di ridurla e quindi di gestirla.

Un’altra tecnica per aumentare la paura è quella di chiedergli di muovere gli occhi a 8 rovesciato, come il simbolo matematico

per infinito, spingendo ai lati delle orbite oculari la vista senza muovere la testa. Dopo che farà questo per qualche minuto gli si potrà dire di fermarsi e di prestare attenzione a ciò che sperimenta e gli si chiederà, se vorrà, di parlarcene. Questa tecnica fa crescere la paura che comunque una volta espressa e “ urlata ” può decisamente essere meglio integrata. Il movimento con gli occhi è un modo con il quale si

possono toccare molte emozioni. Il terapeuta durante queste fasi dell’esperienza dovrà cercare di favorire l’espirazione facendo pressioni sul torace e lavorare con le mani sulla testa e sul collo per sostenere empaticamente il vissuto del paziente.

Queste tecniche hanno il potere di ridurre di molto le tensioni dell’angoscia e possono produrre un'esperienza molto liberatoria per il paziente che potrà avere la sensazione di aver contattato, e in molti casi sciolto, una paura molto profonda; d’altra parte può spesso accadere che i sentimenti possono essere molto forti e difficili da tollerare.

Un’altra tecnica che può essere utile per dare al paziente un senso di protezione dall’impatto


dell’angoscia è quella di chiedergli di mettere le sue mani in avanti e all’insù, nella posizione di chi vuole difendersi da qualcosa di minaccioso, che è anche un tipico riflesso del bambino.


Il lavoro con il piacere

La gioia e il piacere si manifestano frequentemente nel processo corporeo al contrario delle emozioni sessuali che invece sono più rare. Spesso si confondono in quanto in certe circostanze sembra che i movimenti che emergono siano di natura erotica ma in realtà si tratta prevalentemente di atti affermativi al diritto di provare piacere. Questo tipo di bisogni dell’espressività corporea provengono probabilmente dal periodo della differenziazione dalla madre, nella fase in cui il bambino esce dalla simbiosi e comincia a esplorare il mondo nelle cose che ci sono intorno a lui. E’ il piacere del sentirsi vivo, del sentirsi forte, del proprio corpo e c’è tutta una nuova scoperta delle

proprie potenzialità motorie. Mahler16 nel suo studio dei processi evolutivi dei primi tre anni di vita

descrive sei tipi di interazione tra madre e bambino: sostiene che nella fase della " differenziazione " e della " sperimentazione ", che va dai 6 ai 12 mesi, il bambino diventa molto attivo ed esplora molti nuovi movimenti possibili che il suo corpo è in grado di fare, e in modo particolare nello stadio della differenziazione, quando cioè si alza in piedi e diviene in grado di sostenersi con le sue gambe, sperimenta la sensazione di un grande potere del corpo, la sua autonomia: ” Nel lavoro col il corpo, quando il paziente sta sperimentando un rivivere questa fase, chiede distanza, vuole fare le cose da solo e non vuole che il terapeuta l'aiuti, vuole appunto "sperimentare" Può succedere in diversi modi. Per esempio muove le mani o il corpo. Vuole semplicemente muoversi come se stesse esplorando le sue possibilità. Non è che voglia che il terapeuta se ne vada, ma vuole distanza, uno spazio personale. Il comportamento adeguato è stare abbastanza distanti dando comunque il messaggio di esserci. Non bisogna intervenire eccessivamente né dare messaggi svalutativi o punitivi ”.17

Oltre a ciò il piacere è anche collegato al superamento delle croniche autointerruzioni di cui il paziente è stato oggetto nel corso del suo lungo apprendistato di adattamento alle richieste parentali ed ambientali. Una infinita serie di raccomandazioni e ingiunzioni del tipo: “Non ti muovere, stai seduto, non fare questo, non fare quello, stai composto, non aprire le gambe, smettila di correre, non esistere …” hanno strutturato in lui un complesso di contrazioni e tensioni che ora incominciano a sciogliersi. In sostanza il piacere e la gioia sono l’emozione del sentirsi finalmente liberi di muoversi, correre, saltare, fare le capriole, di lasciarsi andare al movimento libero e spontaneo, ecc. e molto spesso un naturale proseguimento del Body Work può essere proprio quello di proporre al paziente, specie se si trova in un contesto di terapia di gruppo, di provare a fare tutto ciò che gli viene di fare, come andare in giro, toccare le persone, ballare, baciare, dare pizzicotti, fare il solletico, saltare, giocare. E’ un’esplosione di gioia.


SCHEMA CORPOREO E RESISTENZE

In definitiva lo scopo implicito del Body Work è quello di aiutare il paziente a rendersi conto del suo sistema di adattamento alla vita e della struttura, della forma ( gestalt ) del suo schema corporeo quale compromesso tra la sua esperienza intrapsichica e la sua modalità di rapporto interpersonale o in altre parole di come egli ha organizzato le sue resistenze nel confine del contatto .

Nel suo scritto “ L’Io, la fame e l’aggressività ”18 Perls scriveva che noi tendiamo a evitare il

contatto auto-interrompendoci continuamente attraverso svariate modalità di resistenza tra cui:








16 Mahler M., Pine F., Bergman A., “ La nascita psicologica del bambino – Simbiosi e Individuazione ”, Boringhieri, Torino, 1978

17 Mazzei S., “ Principi della Body Psycotherapy: tra terapia della Gestalt e teoria delle relazioni oggettuali “, Rivista “Qui e Ora” n. 1, Mazzei Editore, Cagliari,1992

18 Perls F. S: “L'io, la fame e l'aggressività”, Franco Angeli, Milano 1995


Scotoma

Selettività

Inibizione

Repressione

Fuga

Sovra compensazione

Corazza

Ossessioni

Proiezione permanente

Allucinazioni

Proteste

Cattiva coordinazione

Spostamento

Sublimazione

Tratti del carattere

Sintomi

Sensi di colpa e ansia

Proiezione

Fissazione

Indecisione

Retroflessione


Questi sono i sintomi e le resistenze al contatto più frequenti che si manifestano nel corso della terapia ai quali si cerca di trovare una nuova e più funzionale risposta .

Quando entra nel cosiddetto “ stato alterato di coscienza ” che deriva dall’apertura del respiro con evidentemente un maggior afflusso di ossigeno nella corteccia cerebrale, e che poi, in fin dei conti, esprime in realtà lo “ stato normale di coscienza ” che ci sarebbe stato se avesse potuto respirare naturalmente senza tutti gli intoppi della sua crescita, allora, in quel momento l’individuo riesce a sentire e comprendere la sua potenzialità di poter essere un uomo libero, intero e non frammentato, e finalmente se stesso, o almeno con la prospettiva di avere una strada possibile da percorrere affinché, prima o poi, questo possa avvenire nel realizzare ciò che semplicemente egli è.

GESTALT CHAIRWORK
Autore: Scuola Psicoterapia Gestalt 26 gen, 2024
Il lavoro sulle sedie, in inglese detto chairwork, non è una tecnica, ma è innanzitutto un'arte figurativa, volta ad accrescere la consapevolezza e a lavorare su emozioni conflittuali o negate.
07 mar, 2022
Le rivoluzioni sessuali hanno cercato di “liberare" la sessualità dai controlli delle chiese, degli stati, delle famiglie, delle culture dominanti. Rendere cioè la sessualità un fenomeno relazionale libera di autoregolarsi all’interno di una relazione paritaria finalizzata al piacere, alla soddisfazione e alla cura reciproca. Abbiamo visto che questo obiettivo non è stato ancora raggiunto, neanche nei paesi a cultura eurocentrica, ma la direzione è condivisa, almeno a livello teorico, da fette di popolazione sempre più ampie. Quello che però non si è ancora fatto è “metaforizzare” i genitali. Considerare cioè i genitali non più solo come organi copulatori, da utilizzare solo nel momento che si decide di avere un rapporto genitale, ma come centro organismico di una spinta verso il mondo, verso la vita, basata sul piacere, la soddisfazione e la cura reciproca. Questa metaforizzazione in realtà esiste già, ma solo per i testicoli dell’uomo che nella cultura patriarcale sono diventati simbolo di coraggio, forza e determinazione. “Tirare fuori le palle”; “Ha le palle di ferro”; “Non ha le palle”, sono tipiche espressioni per indicare coraggio, forza e codardia. Ma in queste metafore non esiste il piacere, non esiste la soddisfazione e non esiste la cura. Le palle dell’uomo diventano simbolo di dominanza. Sulla donna in primis, ma anche di un uomo su un’altro uomo che non soddisfi i criteri di coraggio, forza e dominanza del patriarcato. La sessualità vuole l’unione, il piacere, la cura reciproca, la creatività. Richiede una competenza ancora inconsueta: imparare a radicarsi nei genitali, trovare in questo contatto intracorporeo il sostegno per portare/cercare nel mondo unione, piacere e cura. La bioenergetica ci ha insegnato il radicamento attraverso i piedi, metafora delle radici che ci collegano alla terra. Il cuore è il centro dell'amore. I denti sostengono la masticazione critica di concetti ed esperienze (Perls, 1942). E così via per moltissimi organi, eccetto per l'apparato sessuale che viene metaforizzato solo per esprimere la dominanza maschile della cultura patriarcale ("Mi hai rotto i .. Sei una testa di .. " ecc.). Respirare nei propri genitali, imparare a sentirli, ad appoggiarsi ad essi all’interno di una cultura di rispetto, cura e piacere reciproco è la prossima tappa della rivoluzione sessuale. Nelle scuole vuol dire promuovere esperienze attraverso cui bambini e bambine imparino a conoscersi e non vergognarsi dei genitali, a tenerli nascosti o, al contrario, esibirli per provocare o disprezzare l’altr*. Vuol dire iniziare a nominarli e invitare i bambini a descrivere come sono fatti, toccandosi. Questo non vuol dire invitarli a masturbarsi in classe, è proprio questa l’ignoranza che dobbiamo superare: quella di identificare gli organi genitali esclusivamente con la funzione della masturbazione o copulazione, in una visione in cui la sessualità è appiattita alla scarica genitale ed è scollegata dalle relazioni.
Autore: Trade SE 14 lug, 2021
Autore: Trade SE 16 apr, 2021
A proposito di psicoterapia online con i bambini… Siamo tutti più che consapevoli di trovarci, a causa del COVID-19, in una crisi globale senza precedenti. Come psicoterapeuta infantile, specializzata nella terapia a indirizzo Gestalt, facc io uso del modello di Violet Oaklander e desidero riflettere e condividere i miei pensieri sull’utilizzo di tale modello con i bambini e le loro famiglie in questo momento particolare di distanziamento sociale e terapia virtuale. Ho avuto il privilegio di condividere questo modello in Italia con molti talentuosi e meravigliosi psicoterapeuti infantili e adolescenziali che conosco da sette anni ed il mio cuore è con loro e con i bambini affidati alle loro cure. Questo articolo presenta un caso esemplificativo per definire, spiegare ed illustrare l’uso del modello Oaklander, in una seduta telefonica o virtuale, e l’utilizzo della tecnologia per osservare il lavoro proiettivo del bambino. Nella prima parte vengono introdotti i concetti di base del modello, incluse brevi illustrazioni delle strategie adottate dai bambini per fare fronte alle situazioni e le risposte terapeutiche; vengono inoltre offerte alcune indicazioni per le sedute telefoniche o virtuali. Nella seconda parte il caso di “Mary” di dieci anni illustra come le tecnologie a disposizione e le tecniche Oaklander classiche - pratiche e proiettive - potrebbero essere utilizzate in circostanze straordinarie. Ringrazio Mary e la sua famiglia per avermi gentilmente permesso di utilizzare gli appunti delle sue sedute, le parole, i disegni e altro materiale per illustrare l’uso del modello Oaklander in un periodo di crisi. Nell’ultima parte l’articolo suggerisce attività da implementare in incontri successivi. Il titolo dell’articolo “Just for now” (Solo per adesso) immediatamente suggerisce una via per inquadrare la terapia in questo momento. Ricorda agli psicoterapeuti e alle famiglie che dovremmo sposare obiettivi dettati dalla crisi a interventi che rinforzino il senso di sé e di resilienza dei bambini e che dovremmo postporre qualunque altro tipo di lavoro in profondità per aiutarli a rispondere alla situazione presente –il compito più rilevante ed ambizioso che abbiamo. PSICOTERAPIA ONLINE CON I BAMBINI Il rapporto psicoterapeuta-bambino Il rapporto tra lo psicoterapeuta ed il bambino durante i periodi particolarmente stressanti è di fondamentale importanza. Affinché tale rapporto rimanga genuino, spiegate ai bambini cosa sta succedendo utilizzando termini appropriati al loro livello di sviluppo. Ciò significa assicurarsi che le informazioni che vengono fornite siano direttamente applicabili alla loro salute e sicurezza e adeguate al loro livello di maturità. Come primo passo chiedete ai genitori cosa i bambini hanno già sentito in famiglia, dalla televisione o al di fuori della famiglia: non date per scontato che i bambini abbiano capito quello che hanno ascoltato. È possibile che abbiano incamerato solamente l’aspetto stressante ma che siano confusi sugli eventi e sull’impatto che possono avere sulla loro vita. Così sarete in grado di informarli in una maniera a loro intelligibile e che supporta la loro resilienza. PSICOTERAPIA ONLINE CON I BAMBINI Maggiori difficoltà di contatto Il termine contatto nella Gestalt si riferisce alla capacità del cliente di essere presente – di saper utilizzare le abilità fisiche, emotive ed intellettuali per connettersi nel presente con se stessi e l’altro. È chiaro che le limitazioni alla nostra presenza fisica durante la seduta creino delle difficoltà uniche. Certamente le sedute possono essere accorciate per conciliare una minore capacità di concentrazione dei bambini quando ci vedono attraverso uno schermo. È opportuno che uno dei genitori partecipi al lavoro con il bambino perché la sua presenza potrebbe aumentare il livello di attenzione del bambino. Per esempio alla seduta con Mary, illustrata più avanti, hanno partecipato la mamma e, brevemente, un fratello. PSICOTERAPIA ONLINE CON I BAMBINI IN TEMPO DI CRISI Egocentrismo: evitiamo i sensi di colpa I bambini in fase di sviluppo sono tipicamente egocentrici e tendono a ritenersi responsabili delle disgrazie – se non di una pandemia globale forse per certi aspetti di essa. Se un familiare o un insegnante si ammala, potrebbero sentirsi responsabili per non essersi sufficientemente lavati le mani. Comunica al bambino che non è colpa sua ed incoraggia i genitori a fare lo stesso. PSICOTERAPIA ONLINE CON I BAMBINI Rendere prioritari i compiti terapeutici Durante questo periodo di crisi ristruttura il tuo lavoro con la famiglia dando priorità alle prime necessità al fine di armonizzare il più possibile la logistica giornaliera dalla famiglia ed il lavoro da svolgere. Oltre a lavorare con il bambino, sii disponibile ad aiutare la famiglia a formulare un piano operativo da utilizzare durante la crisi. Ricorda alla famiglia di metter da parte “solo per adesso” beghe e questioni personali. Oltre al COVID-19, una famiglia si può trovare ad affrontare altre problematiche come un divorzio, la perdita di una persona cara o altro trauma. In aggiunta potrebbero esserci conseguenze emotive ed economiche dovute alla perdita del lavoro, la chiusura della scuola o di altre attività. Quando possibile, incoraggia le famiglie a concentrarsi nel superare la crisi del momento senza scombussolare le relazioni interpersonali e la vita di tutti i giorni. IL PROBLEMA MANIFESTO ED I NECESSARI AGGIUSTAMENTI La risposta appropriata ad un momento di crisi potrebbe significare di mettere da parte “solo per adesso” l’obiettivo terapeutico del trattamento del problema manifesto, così da poter aiutare il bambino e la famiglia a gestire le nuove problematiche causate dalla situazione corrente. È chiaro che il problema con il quale il bambino si è presentato sarà un fattore rilevante nella maniera in cui il bambino reagirà alla crisi. Durante un periodo di crisi, è possibile che problemi differenti si manifestino in maniera differente, per esempio: Ansia: si può manifestare come eccessiva preoccupazione che prende il sopravvento su qualunque altra attività Disturbi ossessivo-compulsivi: le indicazioni di lavarsi le mani con frequenza e di pulire bene le superfici possono inasprire pratiche sanitarie già applicate in maniera rigorosa Depressione: può portare al rinchiudersi in se stessi, isolarsi o ad episodi di rabbia Rifiuto della realtà: può incoraggiare la mancanza di attenzione perché “è tutta una esagerazione”, “mi sento bene”, “mi lavo le mani quindi non mi posso prendere il virus o passarlo ad altri” Rabbia: può sfociare in frasi tipo “non è giusto”,”odio quello che sta succedendo” Puoi gestire ogni tipo di reazione innanzitutto validando tutti gli stili di risposta – ognuno è sotto stress. IL COMPORTAMENTO DEI BAMBINI DURANTE PERIODI TRAUMATICI E DI STRESS È IL LORO MEZZO PER CERCARE DI SODDISFARE I LORO BISOGNI Se valuti le loro risposte individuali in base ai loro bisogni individuali, puoi fornire loro maniere più specifiche ed appropriate per affrontare la situazione. Durante un periodo di crisi i genitori spesso credono di non essere in grado di confrontarsi emotivamente con le manifestazioni di preoccupazione e risentimento dei loro figli. Per aiutarli, istruiscili su come programmare delle sedute a tempo, da 1 a 5 minuti, dove esternare le proprie difficoltà affinché i bambini possano lasciarsi andare e le costanti esplosioni vengano limitate. È necessario che i genitori rispettino le seguenti regole: Limitati ad ascoltare: niente interruzioni e discussioni riguardo agli argomenti Quando il tempo riservato è finito, passare a quanto di altro i genitori, possibilmente con il tuo aiuto, hanno programmato Quando le preoccupazioni emergono al di fuori delle sedute a tempo, prenderne nota e affrontarle nella seduta a tempo successiva PSICOTERAPIA ONLINE CON I BAMBINI IN TEMPO DI CRISI Risposta terapeutica agli stati di ansia Riconosci la preoccupazione o La pandemia genera ansia per tutti! Programma una seduta giornaliera a tempo sui motivi di preoccupazione Tieni a mente che spesso i bambini ansiosi beneficiano dell’opportunità di esprimere la loro aggressività o Insieme ai genitori compila una lista di ciò che è possibile lasciar fare in casa I bambini possono strappare una rivista, sbattere i piedi per terra, fare esercizio seguendo un video, prendere a pugni un cuscino, ecc. In base alla lista di attività permesse, aiuta i bambini a compilare una loro lista di attività preferite da fare in casa Risposta terapeutica ai disturbi ossessivo-compulsivi Riconosci la necessità di igiene e di sentirsi puliti Ripassa con i bambini le linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità, la lista delle provviste tenute in casa e di come mettere in pratica le linee guida suggerite Quando il bambino sente di dover fare “di più”, rassicuralo e ricordagli delle precauzioni suggerite che sono state prese e poi procedi a quanto previsto dal programma giornaliero Segui le stesse linee guida utilizzate per la risposta agli stati di ansia Risposta terapeutica alla depressione Prioritizza il trattamento dell’immediato per migliorare il sentirsi bene “solo per adesso” o Posticipa il trattamento di problematiche più radicate Programma una seduta sul cosa preoccupa ed includi argomenti come sentirsi tristi e senza speranza Programma una seduta di lamentela per permettere ed incoraggiare il bambino ad esprimere la sua rabbia Segui un programma o Incoraggia tutti i membri della famiglia ad alzarsi la mattina, a vestirsi normalmente e a seguire la normale routine della casa Risposta terapeutica al rifiuto della realtà Ricorda che il rifiuto della realtà è una forma di resistenza ed un importante meccanismo per far fronte a situazioni di stress e trauma intensi Rispetta questo bisogno del bambino e segui le necessarie linee guida riguardo alla salute e alla sicurezza senza eccessive spiegazioni Ricorda che i bambini non hanno bisogno di sapere tutto quello che un adulto deve sapere riguardo alla crisi che si sta vivendo Risposta terapeutica alla rabbia Ricorda che per i bambini la rabbia e l’aggressività sono emozioni legittime ed importanti da provare ed esprimere, specialmente durante momenti di crisi Fai presente ai genitori che, come altre reazioni, la rabbia è un mezzo attraverso il quale i bambini cercano di soddisfare le proprie necessità mentre elaborano stress e paura Riconosci la loro rabbia o “So che tu sei arrabbiato con il COVID-19! o con me, o…” Programma una seduta di lamentela senza interruzioni Compila una lista di azioni permesse per esprimere rabbia: prendere a pugni un cuscino, strappare una rivista, andare in un’altra stanza per urlare, ecc. Alcuni suggerimenti per la gestione delle espressioni di rabbia La paura suscitata dal COVID-19 genera probabilmente tensione all’interno del nucleo familiare. È possibile quindi che i genitori tollerino ancor meno le forti emozioni espresse dai loro figli. Il riconoscimento e la legittimazione da parte dello psicoterapeuta delle manifestazioni di rabbia ed il suo aiuto ai bambini ed agli altri membri della famiglia nell’esprimerla permette ad ognuno di sentirsi considerato. Aiutare le famiglie a stabilire limiti per rassicurare i bambini Gli psicoterapeuti ed i genitori vogliono alleviare il dolore che i bambini provano nei momenti difficili. Ricorda ai genitori che i bambini si sentono più al sicuro quando sono soggetti a limiti e confini appropriati. Incoraggia le famiglie a mettere per iscritto il programma della routine della casa, specialmente in momenti così inusuali. Inoltre, assicurati di includere aspetti importanti per lo sviluppo dei bambini: Preparare e mangiare cibi salutari Attività fisica Lavori in casa Compiti Tempo passato con la famiglia Tempo dedicato alla socializzazione (solo online per il momento) Attività che danno ai bambini un senso di finalità. Per esempio Mary ha ripulito il suo armadio di giocattoli da donare ad una associazione caritatevole per bambini Cose divertenti da fare Puoi incoraggiare i bambini e le loro famiglie a documentare con foto e disegni come seguono il loro programma così come hanno fatto Mary e la sua famiglia. Utilizzare le polarità Un periodo di crisi suscita emozioni estreme, prevalentemente negative. Questi sentimenti negativi onnicomprensivi possono sopraffare i bambini e le loro famiglie. Mostrare sensibilità verso sentimenti polarizzati verso se stessi “sono buono/sono cattivo” -che si contrappongono- può facilitare l’espressione di sentimenti di paura, rabbia e tristezza equilibrandoli con ricordi di momenti felici. Questo approccio equilibratore aiuta a cambiare la loro prospettiva e a ridurre lo stress. Suggerimenti per sedute telefoniche od online Non farti spaventare da questo formato! Ricorda che la maggior parte dei bambini di tutte le età hanno una buona dimestichezza con le tecnologie, sono a loro agio ad impararne di nuove ed abituati ad interagire con familiari e amici attraverso FaceTime o simili. Preparazione Poiché non sarai nel tuo studio con tutte le tue risorse a disposizione, è importante prepararsi in anticipo. Ho comunicato a Mary e a sua mamma-con sufficiente preavviso- di preparare pennarelli, fogli di carta, riviste, libri e di avere a portata di mano il telefono della mamma per poter fare fotografie durante la seduta. Inoltre, i genitori devono garantire al loro bambino o adolescente uno spazio privato e tranquillo per lo svolgimento della seduta virtuale. Durante questo periodo di crisi, tutta la famiglia è a casa e la flessibilità è necessaria. Per esempio, la sorella maggiore di Mary, presente per una parte della seduta, è uscita quando Mary glielo ha chiesto così da poter compilare da sola la sua “lista di preoccupazioni”. Modulare la seduta Nella modalità virtuale è più difficile valutare il livello di contatto ovvero la capacità del cliente di essere presente. Per questo è importante tenere a mente possibili attività alternative che suscitino interesse nel caso il bambino perdesse interesse o completasse le attività proposte più velocemente del previsto. Con Mary ho scelto di farle fare all’inizio della seduta tre disegni, attività che richiede una maggiore applicazione della più semplice selezione di immagini, e sono poi passata proprio alla selezione di immagini per la parte della seduta dedicate alla “felicità“. Questo passaggio è stato programmato per prevenire che si stancasse di disegnare e per mantenere interesse durante il lavoro di contrapposizione. Se avessi notato stanchezza da parte sua durante le attività, le avrei chiesto di trovare giocattoli od oggetti legati ai suoi ricordi. Preparati ad accorciare la durata della seduta se il bambino o l’adolescente perde interesse con questo formato. Quando possibile concludi con una nota positiva una seduta ridotta sottolineando i risultati ottenuti dal cliente. Includere i genitori se possono aiutare con le “transizioni” Mary ha un ottimo rapporto con la mamma e per questo ho deciso di invitarla a partecipare alla prima seduta virtuale che è andata molto bene. Ciò mi permetterà di poter fare le prossime sedute solo con Mary. Nelle prossime settimane, documenterò sedute con adolescenti che, come si sarebbe potuto prevedere, si sono trovati perfettamente a loro agio con il formato virtuale e senza la presenza dei loro genitori. Utilizzare la casa come una risorsa Questa crisi offre agli psicoterapeuti che vedono i bambini prevalentemente in clinica, a scuola o presso il loro studio, l’opportunità di utilizzare la casa dei clienti come una vera e propria risorsa. Chiedigli di mostrarti la loro casa, di presentarti il loro animale domestico, i loro fratelli e/o sorelle, altri membri del nucleo familiare, oggetti o luoghi speciali. Questa visita virtuale ti permetterà di utilizzare i loro sensi: 1. Quali sono i suoni della casa che preferiscono? E quelli che gli piacciono di meno? Possono dirteli, scriverli o anche riprodurli per te: a. L’abbaiare del cane, le grida dei fratelli, il traffico, la musica o il rumore della cucina quando si prepara da mangiare sono i suoni più comuni che vengono riportati. b. Lavora sugli aggettivi: come sono questi suoni? Rumorosi, quieti, musicali, soffusi, rilassanti, irritanti? 2. Cosa si vede nella loro casa, le cose o i luoghi più comuni, quelli che preferiscono e quelli che gli piacciono di meno. a. Possono farti fare di nuovo una visita virtuale, magari della loro stanza o del loro spazio preferito. b. Impegnati ad aumentare la loro espressività nel descrivere la loro stanza o il loro spazio preferito sia a parole che scrivendo: è un posto accogliente, fresco, tranquillo, privato, piccolo, grande, rilassante, eccitante? Segui le stesse linee guida per il tatto, l’olfatto ed il gusto. 3. Quali sono le cose più comuni da toccare in casa, quelle che preferiscono e quelle che gli piacciono di meno 4. Quali sono gli odori più comuni in casa, quelli che preferiscono e quelli che gli piacciono di meno 5. Quali sono i gusti più comuni, quelli che preferiscono e quelli che gli piacciono di meno Mary Mary ha dieci anni e le strategie che ha messo in atto in questo periodo di crisi sono diventate un po’ ossessive. Eccessiva attenzione nel lavarsi le mani Preoccupazione riguardo alla pulizia delle maniglie delle porte Divieto agli altri di toccare le sue cose ed i suoi giocattoli Durante la seduta ed in risposta all’intensità della crisi che stiamo tutti vivendo, ho adottato di proposito un tono leggero. Ho incluso passaggi progressivi orientati a trovare una soluzione, come per esempio compilare una lista di cose fonte di preoccupazione o una mini seduta casalinga dove esprimere le proprie lamentele; tutto ciò per permetterle di esprimere le sue preoccupazioni ed identificare i passaggi da fare per accendere emozioni positive. Ho anche incoraggiato Mary a compilare un programma per organizzare il suo tempo a casa e che includesse attività fisica, compiti specifici, socializzazione e aiuto agli altri. La lista delle preoccupazioni di Mary Coronavirus Scuola virtuale Non poter fare il mio spettacolo La cancellazione delle mie classi di corsa e danza Il programma di Mary Attività fisica Progetto con finalità Cari amici, ho 10 anni e vivo a LA. Volevo condividere con voi alcuni giochi e giocattoli con cui voi e la vostra famiglia potete giocare. Spero che vi piaccia.* Cordiali saluti, Mary P.S. Spero che troviate un posto sicuro e tranquilo dove stare. P.P.S Spero che non prendiate il chronavirus. Cordiali saluti, Mary *NB: Gli errori di ortografia e grammatica sono dovuti alla giovane età di Mary. Abbiamo scelto di non correggerli per riportare fedelmente quello che ha scritto. La lista delle cose che a Mary piace fare Colorare tra le righine Guardare la tv Leggere Giocare con il cane Battere mia mamma ai giochi da tavola Costruire giochi Giocare con i giochi Usare le polarità Il professore Peter Mortola della Lewis and Clark University e autore del libro “Window Frames”, notò che atti di generosità come quello fatto da Mary regalando i suoi giocattoli ad altri bambini rappresentano utilmente l’opposto della separazione sociale imposta da questa crisi. Mary ha quindi potuto rendersi conto che attraverso la sua scelta di condividere i suoi giocattoli, poteva contobilanciare il malessere provocato dell’isolamento forzato. Gli esercizi di proiezione mi hanno permesso di utilizzare le polarità rilevate e di ottenere il medesimo effetto. Esercizi di proiezione Attraverso FaceTime, ho chiesto a Mary di fare tre disegni e poi ho chiesto a lei e a sua madre di mandarmeli attraverso la posta elettronica: Un ricordo di sentirsi preoccupata più di un anno fa Un ricordo di sentirsi preoccupata un anno fa Un ricordo di sentirsi preoccupata nel mese scorso Poi le ho chiesto di classificare i ricordi da lei scelti in base alle emozioni suscitate. Infine le ho chiesto di spiegarmi come fosse arrivata a tale ordine. Lo scopo di chiedere a Mary di fare i tre designi, ordinarli in una classifica e spiegarli, era di darle l’opportunità di connettersi con tempi passati quando aveva provato emozioni simili a quelle di adesso. Lei e sua mamma hanno deciso per una maggiore chiarezza di dare un nome a ciascun ricordo. Il risultato ottenuto è che Mary si è potuta rendere conto che le emozioni provate non sono sconosciute e che ci ha già convissuto. Chiederle di scegliere quali momenti di paura e di felicità lei disegnasse le ha permesso di esprimere e rinforzare il senso di sé, uno degli obiettivi terapeutici del modello Oaklander. Disegno 1 “Io mentre mi operano al cuore quando avevo 3 anni” Disegno 2 “Questo è nel 2019 quando le persone non erano gentili con me” Disegno 3 “Persone con Corona Virus” Ho quindi chiesto a Mary di ordinare i disegni in base all’intensità delle emozioni suscitate, dalla più forte alla più mite. Il disegno che raffigurava la sua operazione al cuore è quello che la toccava di più, il disegno del Corona Virus era al secondo posto e al terzo quello delle persone che non erano gentili con lei. Quando le ho chiesto perché avesse scelto quell’ordine, mi ha risposto: Perché fa veramente paura avere un’operazione e avere qualcosa di strano nel tuo corpo. E non è molto regolare. La maggior parte delle persone non ce l’ha. Da quel momento in poi ho sempre avuto paura delle iniezioni. Hanno dovuto inserire un ago dentro di me. Da quel momento in poi sono stata terrorizzata. La mamma di Mary era sorpresa che Mary avesse emozioni più forti riguardo all’operazione al cuore piuttosto che al COVID-19, la causa dello stress attuale. La classifica stilata da Mary esemplifica il valore di offrire ai bambini l’opportunità di esprimere il loro punto di vista senza il disturbo creato dal punto di vista di un adulto. L’indicazione per gli psicoterapeuti è di non presupporre che ciò che è prioritario nelle nostre menti lo sia anche in quelle dei bambini. Di seguito ho chiesto a Mary di scegliere tre immagini che rappresentassero il polo opposto delle emozioni negative espresse; quindi ricordi di momenti felici negli stessi periodi di tempo. Mary e la mamma mi hanno inviato via email queste immagini. Immagine 1 “Sentirsi felice quando è arrivato il cane Bubba quando Mary aveva 8 anni” Immagine 2 “Sentirsi felice quando Mary ha imparato a risolvere il cubo di Rubik” Immagine 3 “Sentirsi felice quando Mary ha interpretato il personaggio di Yenta in Fiddler on the Roof (Il Violinista sul tetto)” Alla richiesta di ordinare le immagini in base alle emozioni che le avevano suscitato, Mary ha indicato l’arrivo del cane come l’emozione più forte, interpretare Yenta come seconda e risolvere il cubo di Rubik come terza. Ho chiesto a Mary cosa pensasse dei due esercizi. Mi ha detto: Ho pensato che puoi passare dall’essere preoccupato all’essere felice – non sai mai, potresti essere felice o triste. Se stai facendo qualcosa che ti piace, non sai quello che potrebbe succedere. Potrebbe cancellarsi. Inoltre le ho chiesto se avesse notato delle differenze nei suoi pensieri o nei suoi stati d’animo mentre lavorava su entrambe le emozioni. Mi ha risposto: Mi sono sentita uguale per entrambe. Riflessioni sulla seduta Questo esempio di seduta illustra una maniera di utilizzare il modello Oaklander in un periodo di crisi. Ha aiutato Mary ad identificare e focalizzare le emozioni suscitate dalle cause dello stress attuale. Le ha permesso di contestualizzare entrambe le emozioni provate e la sua esperienza della polarità dei momenti di felicità nel passato, con il risultato di ricordarle che il suo essere preoccupata è “solo per adesso”. Mary ha imparato che è possibile, anche nel pieno di una crisi, provare momenti di gioia e altre emozioni positive. È sembrato anche che, una volta che i ricordi venivano visti attraverso la prospettiva del presente, abbia provato l’esperienza di elaborare con le stesse emozioni ricordi negativi e positivi. Suggerimenti per le sedute Chiedi al cliente di immaginare un luogo al sicuro, di disegnarlo e descriverlo. Quando il mondo esterno è diventato fonte di incertezza e di pericolo, è infatti di primaria importanza saper immaginare un luogo sicuro all’interno Aiuta il bambino ad identificare e connettere le emozioni con il proprio corpo: “Dove senti la preoccupazione? Che aspetto ha? Disegnala, impersonala e descrivi te stesso come quell’emozione”. Proponi esercizi di rilassamento come visualizzare immagini che suscitano sensazioni di benessere e rilassano la mente ed il corpo. Ci sono molte applicazioni disponibili che sono adatte ai bambini. Utilizza un collage. Seleziona un tema se vuoi, scegli le immagini da ritagliare dalle riviste, assemblale e incollale su un grande foglio di carta o di cartone. Incoraggia il bambino a descriverti il collage e a vederlo come l’espressione del significato che lui gli ha dato.
Autore: Trade SE 01 apr, 2021
Il seguente articolo è una breve descrizione schematica del processo terapeutico: 1. Stabilire la relazione terapeutica L’importante che il bambino il terapeuta spendono del tempo per conoscersi l’un l’altro. Questo è il tempo per costruire un senso di sicurezza, di fiducia e per stabilire limiti e confini. Senza il filo conduttore della relazione, non molto può accadere. 2. Contatto Il contatto coinvolge l’abilità di essere pienamente presenti nella relazione. Quando un bambino ha difficoltà a stare in contatto il fuoco della terapia e di aiutare il bambino a sviluppare le abilità di sostenere il contatto. Il contatto è stabilito e valutato ad ogni seduta.le resistenze, la rottura del contatto, devono essere onorate rispettate come il modo del bambino di affrontare ciò che lo spaventa e lo ferisce. 3. Le funzioni del contatto Le funzioni del contatto includono l’uso dei sensi (il tocco, la vista, l’udito, l’olfatto e il gusto), l’uso consapevole del corpo, l’espressione emotiva, il linguaggio e il pensiero. I bambini ansiosi e preoccupati tendono a restringere inibire queste funzioni vitali. Lo sviluppo e il rinforzo di queste funzioni organismiche è una parte importante del processo terapeutico. 4. Auto supporto Questo aspetto coinvolge l’aiutare il bambino a costruire una forza interiore attraverso l’espressione del proprio sé. Quando i bambini iniziano a conoscere e definire se stessi attraverso le espressioni di desideri, bisogni, volontà, gusti, idee ed opinioni, migliorano l’auto supporto. Così possiamo offrire al bambino esperienze di fare scelte e di padroneggiare la situazione Per implementare questo processo. Si possono usare molti giochi attività per facilitare l’auto supporto. 5. Espressione emotiva L’auto supporto è un prerequisito per l’espressione delle emozioni bloccate. Il lavoro di espressione emotiva si articolano nell’aiutare il bambino a capire quale emozione sta provando, imparare a conoscere le proprie emozioni, esprimere quelle emozioni bloccate che interferiscono con il nostro benessere e imparare le abilità di esprimere le emozioni, come la rabbia, in modi sicuri ed efficaci. Una varietà di modalità creative, espressive e proiettive possono essere usate per aiutare questo lavoro come i disegni, l’argilla, le marionette, le scene nella sabbiera, l’inventare storie, fare musica e il role play. 6. Lavoro di auto nutrimento Il focus di questo lavoro e di aiutare il bambino a riformulare quei messaggi negativi su di sè che di solito i bambini introiettano quando sono molto piccoli. Stanare queste parti negative di sé e imparare a nutrirle invece di deprecarle è l’essenza di questo potente lavoro. 7. Seguire il processo Di solito i comportamenti inappropriati si risolvono attraverso il lavoro sopra descritto. Ciò nonostante spesso i bambini continuano a utilizzare meccanismi inefficaci di fronteggiamento con l’esito di compiere tentativi infruttuosi di soddisfare i propri bisogni. È importante aiutare il bambino a scoprire sperimentare un nuovo modo di essere nel mondo e ottenere nuovi strumenti più appropriati per soddisfare i propri bisogni e ottenere il supporto dall’ambiente. 8. Seduta finale Questa seduta è importante per dare una chiusura al lavoro svolto insieme in un periodo particolare di tempo. I bambini hanno bisogno di imparare come lasciare andare prima di andare verso un nuovo inizio. I bambini possono solo entrare in contatto con le emozioni e le questioni che sono appropriate al loro livello di sviluppo. A fronte del lavoro svolto potrebbero raggiungere una stabilizzazione e poi in un secondo tempo, esprimere nuovi sintomi o comportamenti che indicano che sono pronti per un lavoro successivo. 9. Lavoro familiare e supporto pedagogico Questa è una parte essenziale della terapia e va svolta periodicamente.terapeuta potrebbe chiedere ai genitori di sperimentarsi con i nuovi comportamenti o a fronte delle suggestioni emerse durante gli incontri per aiutare il processo terapeutico del bambino al di fuori dei confini della stanza del terapeuta. Nota: Il processo terapeutico non è necessariamente lineare. Spesso torniamo indietro e andiamo avanti seguendo ciò che ha senso per il bambino, Per permettergli di sperimentare i propri bisogni. L’obiettivo è di aiutare il bambino a sentirsi più felice nel mondo, a sviluppare un senso del sé e più forte, a imparare come gestire lo stress e a trovare modi appropriati ed efficaci di esprimere le proprie emozioni. Io credo che i bambini arrivino nel mondo con tutte le competenze per garantirsi una salute emotiva. I sintomi e comportamenti che producono l’attenzione dell’adulto spesso sono le evidenze dell’interruzione di queste capacità. Il compito del terapeuta e di supportare la spinta del bambino alla crescita e alla vita e di aiutarlo a tornare sul sentiero di una corretta crescita. Violet Oaklander
Autore: Trade SE 26 feb, 2021
È il giorno prima del decreto che definirà l’Italia intera “zona rossa”: m i reco al mio studio per gli appuntamenti ormai fissati avendo deciso di informare tutti i pazienti che sarebbe stato il nostro ultimo incontro in presenza fino a tempi migliori. Per gli adulti avevo deciso di proporre la prosecuzione del lavoro via Skype, per i bambini di interrompere. Poi arriva il mio primo piccolo paziente, due peluche con se e mi dice “Sara oggi dobbiamo fare una nuova storia”, io rispondo “Ok”. Lui mi dice “Ho già pensato anche ad un titolo, il peluchevirus”. In un attimo penso che non posso lasciare soli questi bambini e mi viene l’idea di sedute online anche per loro… a fine seduta verbalizzo una proposta al mio piccolo paziente. “Senti, se dalla prossima settimana dovessimo vederci con una videochiamata?” Appare entusiasta e ci tiene a dirmi che a casa ha tanti altri pupazzi con cui potremo inventare storie insieme… ha tanti fogli, pennarelli e matite… Parlo subito di quest’idea alla mamma che appare collaborativa e sollevata all’idea che il percorso di suo figlio non dovrà fermarsi per settimane o più. Dopo questi feedback, tra una seduta e l’altra di quella che sarà la mia ultima giornata di lavoro in studio, comincio a riflettere su come poter continuare per qualche tempo il mio lavoro con i bambini online, per poter garantire anche a loro una continuità di servizio, come per gli adulti. Penso “Sono fortunata! Domani mattina ho la mia ora di supervisione per il percorso di formazione che sto completando in Gestalt Play Therapy e potrò condividere idee e dubbi con il mio supervisore, Giandomenico Bagatin”. Quella sera questo pensiero mi aiuta ad affrontare con più serenità l’amarezza della scelta difficile, ma necessaria, di chiudere lo studio. Con Giandomenico mettiamo insieme le idee, emergono possibilità, difficoltà, dubbi… si perché è un’esperienza nuova. Concludo la supervisione pensando che è fattibile, che ci potrebbero essere delle limitazioni ma anche dei vantaggi. Non mi resta altro da fare, provare. Il mio supervisore mi saluta con questa frase “Buona sperimentazione”, si perché si tratta di questo, di sperimentare una modalità alternativa di fare il mio lavoro in una situazione che non avrei mai pensato di vivere, il Covid-19. Ma come il mio maestro Paolo Quattrini insegna citando Sartre, “Non è importante ciò che ci capita, è importante ciò che si fa con ciò che ci capita”. Il giorno successivo vado quindi al mio studio armata di trolley e borsone per portare a casa la maggior parte dei materiali che immagino siano utilizzabili per fare delle videosedute con i bambini. Sì, perché il mio studio è condiviso e, per tutelarmi, decido di lavorare da casa anche io, almeno finché mi sarà possibile. Mi porto la lavagna che di solito uso con i miei bambini, il ciak che usiamo per fare delle storie come fossero film o interviste, i mazzi di carte Dixit, l’inventafavole, le carte delle emozioni, tutte le marionette da dito che possiedo, gli story-cubes, diversi giochi con le faccine delle emozioni, degli strumenti musicali, il prontuario che uso per fare immaginazioni guidate con i bambini e gli adolescenti, le carte per fare il mimo, la plastilina e quello che guardando il mio studio mi sembra possa essere utilizzabile per la psicoterapia online con il bambino. Dalle prime sedute fatte su Skype con i miei piccoli pazienti, comincio ad appuntarmi delle riflessioni che ho il piacere di condividere con voi. LO SVOLGIMENTO DELLA SEDUTA: MODALITÀ E STRUMENTI Un aspetto fondamentale è stata la collaborazione dei genitori alla preparazione della videoseduta : dall’ acquisto/recupero di tutti i materiali possibili per lavorare con il bambino (matite, pennarelli, fogli, plastilina o simili), all’organizzazione della stanza del bambino (disporre i materiali raggruppandoli un po’ così che siano di facile reperibilità durante la seduta), alla collocazione del supporto tecnologico utilizzato per permettermi di vedere il bambino ma anche il piano di lavoro su avremo fatto le attività, quindi ad esempio poter vedere come disegnava, come utilizzava i personaggi etc. Un padre ha addirittura montato il PC su una mensola vicino alla scrivania, ad un’altezza ottimale per permettermi di vedere la sua bambina e la scrivania quasi intera. A TUTTI I GENITORI VA IL MIO ENORME GRAZIE! Le sedute si svolgono in modo simile a quelle in studio: come il genitore accompagna il bambino alla seduta per la sessione online effettuano la chiamata insieme, ci diamo il buongiorno e poi restiamo da soli per fare il nostro lavoro. Quando avremo concluso il bambino andrà a chiamarlo, così che prenderemo il prossimo appuntamento e ci saluteremo tutti insieme. Nella seduta parliamo di emozioni, usiamo il disegno o la plastilina per rappresentarle, dove disponibili strumenti musicali per esprimerle (solitamente i bambini hanno solo il flauto o una piccola tastiera), scegliamo pupazzi o personaggi per raccontare storie e facciamo esperienze immaginative. Un aspetto che ho sentito come importante fin dalla prima seduta è stato spiegare ai bambini la questione dello sguardo: a seconda del supporto tecnologico utilizzato poteva accadere che il bambino vedesse che non lo guardavo negli occhi. “Forse ti sembrerà che non ti guardo negli occhi…è perché ho lo sguardo sullo schermo per vederti e la mia telecamera è un po’ più sopra. Quindi se guardo l’occhiello di questa non vedo te” facendo qualche prova a vicenda e ridendoci su insieme… PRIVACY Un aspetto di possibile difficoltà su cui mi sono interrogata riguarda il fatto che i bambini sono nella loro camerina e sanno che in casa ci sono i genitori (anche perché spesso sentiamo le loro voci dalle altre stanze). Quindi l’espressione delle emozioni, nello specifico della rabbia, avrebbe potuto essere inibita. Questo soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo della voce e del corpo per esprimerla. Ho parlato con i genitori insieme al bambino nella prima seduta per avvisare che per esempio avrebbero potuto sentire delle urla ma che era normale, “stavamo solo cercando di esprimere un po’ di emozioni” (qualche genitore tra l’altro mi dice che lo sa, perché quando aspetta il bambino in sala d’attesa lo sente). Il disegno, almeno nella prima seduta, è stato lo strumento di elezione , anche perché il materiale per realizzarlo era disponibile in tutte le case in tempo di Covid-19. Nel lavorare con il disegno mi sono accorta che, nonostante l’impegno messo dai genitori per prepararci il setting, non sempre riuscivo a vedere cosa i bambini disegnavano mentre lo disegnavano. Questo soprattutto se utilizzavano le matite. Per non limitare la libertà di scelta mi sono concentrata sul come lo disegnavano e ogni tanto mi facevo avvicinare il foglio per vedere cosa disegnavano… non è stato troppo complicato, anche perché i bambini ci tenevano a vedere che effetto mi faceva quello che vedevo e spesso da soli, completato un elemento del disegno, mi avvicinavano il foglio alla telecamera per mostrarmelo. È stato comunque possibile fin dalla prima seduta utilizzare altri strumenti a disposizione del bambino, dal das (o simili) per dare forma alle emozioni, ai pupazzi o le LOL o i PETS per creare scene sul piano di lavoro condiviso. Ho introdotto l’utilizzo del timer per far emergere preoccupazioni e lamentele. Ho utilizzato le carte Dixit per lavorare sulle polarità o per inventare storie. Dalla seconda seduta è stato possibile lavorare con la creazione-rappresentazione di scene in modo più simile a come faccio in studio per l’attrezzatura che anche i bambini stessi hanno proposto di usare, ad esempio un bambino mi ha detto: “Sara ho la sabbia cinetica, non è uguale alla tua ma ci va bene lo stesso!” Con qualunque strumento utilizzato è stato possibile mantenere la sequenza in quattro parti del lavoro delle sedute in presenza proposta da Violet Oaklander: esperienza immaginativa – espressione sensoriale – articolazione narrativo metaforica – applicazione alla vita reale (dove possibile). Le attività che più ne hanno risentito sono state quelle di manipolazione perché pochi bambini avevano a disposizione la plastilina o simili. Ma questo per il momento del Covid19, se i negozi di giocattoli fossero stati aperti non ci sarebbero stati problemi! e il giocare insieme, più difficile da fare a distanza anche se la fantasia dei bambini qui è venuta in grande aiuto e qualche idea la abbiamo trovata! Un punto a cui sto dedicando particolare attenzione è il coinvolgimento dei genitori nel processo delle sedute online : ho chiesto ai bambini se gli andava di chiamare mamma, babbo o entrambi 5 minuti prima della fine della seduta per raccontare qualcosa di quello che avevamo fatto insieme. Dopo le prime sedute ho ritenuto opportuno introdurre anche sedute con presenza iniziale di uno o entrambi i genitori per suggerirgli come comportarsi in questo difficile periodo per sostenere i loro bambini. Soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione della loro giornata (sperimentazione ancora da introdurre dalle prossime sedute). LE EMOZIONI EMERSE Le emozioni emerse alla prima seduta sono state la tristezza per la quarantena “perché non si può uscire, non c’è scuola, non si può giocare con gli amici” e la felicità del rivederci in questo momento che siamo tutti a casa. Nelle storie con i pupazzi e/o i disegni fatti nella prima seduta dopo un’esperienza immaginativa di “viaggio nel tempo” emerge prevalentemente la paura per qualcosa di pericoloso che minaccia un luogo: da un mostro che distrugge con il fuoco i palazzi di una città ormai deserta, per i bambini che ambientano le storie nel futuro, a carnivori feroci che minacciano gli animali della foresta nella preistoria, per i bambini che la ambientano nel passato. Nella seconda seduta comincia ad emergere più chiaramente la rabbia, ad esempio per le persone che non rispettano le regole, per le occasioni che saltano a causa del Covid-19 (come i compleanni), per il sole fuori quando non si può uscire, per fratelli o sorelle più piccoli che disturbano di continuo gli spazi dei più grandi. Emerge il problema della privacy che neanche i bambini in tempo di Coronavirus riescono a conservare nella loro quotidianità a casa, fatta eccezione per le nostre sedute dove, fino ad ora, nessuno ci ha mai disturbato, mostrando una profonda collaborazione e un profondo rispetto da parte della famiglia intera per il lavoro che io e il bambino facciamo. Tra le preoccupazioni che riguardano la pandemia ne emergono di specifiche come quella della pericolosità di questo virus, della difficoltà a salvarsi se ti prende e dell’imprevedibilità riguardo a chi infetterà . Emergono poi altre preoccupazioni legate alla situazione creata dalla quarantena per il Coronavirus.Sembra che i bambini stiano cominciando a percepire che la situazione sarà molto più lunga di quello che era stato detto loro, che immaginavano di tornare a scuola il 6 Aprile 2020 e riprendere la loro vita di sempre. Ho da subito lavorato sulle polarità proponendo di creare o disegnare qualcosa per rappresentare la tristezza, la paura o la rabbia (a seconda dell’emozione di partenza) e qualcosa per rappresentare la felicità (o un’altra emozione con valenza positiva): tra le cose positive emergono attività fatte con i genitori ma anche il potersi prendere tempi più lenti e il sentirsi riposati. Molti dei bambini che vedo normalmente hanno giornate piene di impegni e in quarantena stanno scoprendo il piacere di rispettare i ritmi del proprio corpo e i propri desideri. QUALCHE CENNO SULLA SINTOMATOLOGIA Ho riscontrato che i bambini che erano giunti in terapia da me per problematiche riguardanti l’ansia provano molta meno ansia per il possibile contagio da coronavirus in questo momento di quarantena rispetto a quella che avevo riscontrato nell’ultima seduta fatta in presenza, quando il Covid-19 era appena agli inizi in Italia, limitato alla zona della Lombardia, e le scuole in Toscana erano ancora aperte: mi raccontavano quello che sapevano e mi dicevano tutto quello che facevano per non prendere il virus (ad esempio l’uso del gel per le mani). Adesso la loro attenzione sembra più spostata sul tempo perso a scuola, anche perché per molti di loro ancora non sono state attivate le lezioni online e la scuola è chiusa da circa 20 giorni. Diversi dei bambini che vedo frequentano la classe quinta della scuola primaria e dei sintomi ansiosi rispetto al passaggio alla scuola secondaria di primo grado erano già emersi con l’arrivo delle pagelle, un mese prima dell’arrivo del Coronavirus: in qualche caso la preoccupazione in figura adesso è il passaggio alla scuola secondaria di primo grado, non più il contagio da Covid-19. Nei bambini che erano arrivati in terapia per problematiche riguardanti paure e ossessioni, invece, più i giorni stanno passando, più si alimentano le preoccupazioni del contagio. Emergono anche paure e fantasie non realistiche su come questo potrebbe avvenire (ad esempio, il virus potrebbe attraversare le finestre ed entrare in tutte le case). A prescindere dai sintomi per cui i bambini erano arrivati da me in terapia, tutti condividono l’esperienza di momenti di tristezza e/o rabbia, emozioni su cui abbiamo lavorato in tutte le sedute fatte fino ad ora.
Autore: Trade SE 19 feb, 2021
D: Fai attenzione ai sogni dei bambini nel tuo lavoro? Qual è la tua teoria dei sogni in generale? Violet: Mi piace particolarmente questa domanda. Penso che sia un argomento a cui si dedica troppo poca attenzione. I sogni dei bambini ci danno molte opportunità per entrare nel mondo interno del bambino. Come terapeuta fortemente influenzata dalla Gestalt, evito di fare interpretazioni. Spero invece che il bambino possa fare affermazioni sulla sua vita e sul suo mondo interno mentre lavoriamo su un sogno. Credo che il sogno sia una proiezione di come il bambino vede il mondo solitamente nascosta in disegni e linguaggi simbolici ed esagerati. E’ un po’ come decifrare un puzzle; è divertente! Ed è interessante tirarci fuori un senso. Prendere davvero consapevolezza del messaggio che il sogno porta rafforza il senso del sé. Ti faccio alcuni esempi di lavoro con i sogni dei bambini: Una volta ho visto un bambino di 4 anni a causa dei suoi tanti sintomi d’ansia. È migliorato molto e stavamo arrivando alla fine delle nostre sessioni insieme. All’ultimissima sessione la sua mamma gli ha raccomandato di raccontarmi del sogno spaventoso che ha avuto la notte prima. Lui mi ha raccontato che in quel sogno viveva in una casa con entrambi i genitori. Jason (questo non è il suo vero nome) aveva dei genitori che non si sono mai sposati e hanno vissuto separatamente per tutta la sua vita. Hanno avuto la custodia congiunta ed erano molto legati e attenti con lui. Ha passato sempre una settimana con la mamma e una settimana col papà. Nel sogno dormiva nella sua stanza e tutti e due genitori venivano dentro all’improvviso, lo svegliavano e lo lanciavano fuori dalla casa. Ad un certo punto un grande uccello arriva e lo prende col suo becco, per poi volare via. Lui si è alzato molto spaventato ed è corso nella stanza della sua mamma. “Non mi è piaciuto questo sogno, come si è chiuso specialmente” ha detto Jason. Ho suggerito di rappresentare questo sogno con l’argilla. Ho usato un grosso mucchio di argilla per la casa di Jason e altri piccoli pezzi di argilla per rappresentare la stanza dei suoi genitori e la sua stanza. Abbiamo poi costruito delle piccole figure per rappresentare i suoi genitori e lui e le abbiamo piazzate nella stanza. Ok, ho detto a un certo punto, tutti e due i tuoi genitori entrano nella stanza. Ho preso i genitori fatti di argilla e li ho messi dentro la stanza di Jason. “Se potessero parlare cosa direbbero?” gli ho detto. Nel sogno non parlavano. Jason disse: dicono “stiamo per buttarti fuori”. Cosa diresti se potessi parlare? Direi (Ma poi ha urlato): No, no!! Le figure d’argilla lo prendono e lo lanciano fuori dalla stanza d’argilla. “Sta piovendo fuori” aggiunge Jason. “Quindi cosa succede?” gli chiedo. “Devi fare un grosso uccello”. A questo punto ho fatto piuttosto velocemente un grosso uccello con l’argilla. “Lui mi prende e va via con me poi mi sveglio”. Non mi è piaciuto questo sogno, ha ripetuto. Io gli ho detto: cambiamo il sogno! Jason pensò che fosse una buona idea. Tutti erano di nuovo nella stanza. Ho fatto entrare i genitori dicendo: ti buttiamo fuori! “Jason, adesso cosa diresti di diverso?” Jason ci ha pensato per un momento. Poi ha detto forte: A letto! I genitori, in maniera obbediente, sono tornati alla loro stanza. “Cosa ne facciamo dell’uccello?” “Dobbiamo ucciderlo” ha risposto. Poi ha preso una mazzetta di gomma (io la rendo sempre disponibile con l’argilla) e con grande forza ha distrutto l’uccello. A un certo punto ha detto: “Ok, è abbastanza. Possiamo giocare a qualcos’altro prima che io debba andare a casa?” Usciti dal gioco che lui ha scelto, in maniera apparentemente casuale, ho detto: “Jason, scommetto che quando vai a casa della mamma e a casa del papà avanti e indietro, avanti e indietro, a volte non ti senti pronto per passare da un posto all’altro e ti sembra di essere buttato fuori” Fu d’accordo, con tanta energia. “Ti fa arrabbiare immagino”. “Sì!!”. E poi ha aggiunto: mi fa sentire come quando abbiamo ucciso l’uccello di argilla! Poi siamo andati nella sala d’aspetto e Jason ha raccontato alla sua mamma tutta la storia. Lei ha reagito in maniera abbastanza appropriata e così è finita. A proposito dei sogni dei bambini, credo che spesso quando abbiamo un sogno intenso vuol dire che siamo vicini a poter affrontare qualcosa di importante nella nostra vita. Ho lavorato una volta con un gruppo di bambini e tutti loro avevano i papà in un trattamento per l’alcoldipendenza in una base militare. Tutti avevano vissuto molti traumi. Un ragazzino di 12 anni mi ha descritto un sogno in cui stava guidando con il suo papà giù da una strada scivolosa e piena di vento vicino a un lago. Raccontò che era molto spaventato perché il suo papà va verso il lago ma si è svegliato appena in tempo. Un bambino di 9 anni nel gruppo disse: ho una strada proprio come questa nella mia vita. Una ragazzina di 13 anni nel gruppo raccontò del suo sogno: era in una bara e nessuno sapeva che non era morta. Tutti stavano piangendo e lei stava per essere sepolta viva quando si è svegliata. Le ho proposto di mettere in scena questo sogno. Le ho quindi suggerito di sdraiarsi sul pavimento e di fare finta di essere nella bara. Il resto di noi sarebbero stati coloro che assistevano al funerale. Gli altri bambini e io piangevamo e parlavamo di che ragazza meravigliosa è stata. Poi ho parlato direttamente a lei e le ho chiesto se voleva parlare, visto che non l’aveva fatto nel sogno. Lei allora ha urlato forte: non sono morta! Sono viva! Ascoltatemi! Potete vedermi? Quando ci siamo fermati ha detto: “E’ come la mia vita. Nessuno mi sente. nessuno mi vede per quello che sono.” Il nostro lavoro per i nostri clienti è di farli diventare consapevoli di cosa sta succedendo per loro nella vita per cominciare a effettuare dei cambiamenti. Non è lo stesso che lamentarsi: è un’affermazione chiara, una dichiarazione consapevole e accettante. Questa bambina per restare in pace e lasciare in pace non ha mai detto alla sua famiglia quanto invisibile si sentiva. Non ne era mai era stata capace. In queste situazioni, nel lavorare con i rapporti con i genitori, ci siamo focalizzati nel gruppo su come relazionarsi con i genitori e prenderci cura di noi stessi. Ho imparato molto da questi bambini! Un ragazzino di 12 anni ha assistito all’assassino della madre quando ne aveva 7. Ha bloccato tutte le memorie dell’incidente e i ricordi della mamma. E’ stato diagnosticato come ADHD e aveva molti comportamenti problematici e problemi familiari che l’avevano portato in terapia. Spesso do ai bambini piccoli quaderni per scrivere i loro sogni. Dopo tre o quattro mesi di terapia settimanale, lui ha portato nel mio studio un pezzo di carta dove aveva scritto un sogno. Aveva perso il quaderno. Aveva sognato che stava sdraiato in una culla in cucina intanto che la mamma stava stirando. Una fioca luce artificiale brillava su di loro, poi improvvisamente la lampadina scoppia e tutto diventa nero. Ho chiesto a Jim (non è il suo vero nome) di disegnare il sogno. Lui ha fatto una bozza essenziale della scena. Ho detto: se tu potessi parlare nel sogno cosa diresti? Descrivi cosa sta succedendo. Lui a questo punto ha detto: me ne sto sdraiato lì e guardo la mia mamma che stira. Questa era la prima volta che menzionava la sua mamma in 5 anni. “Com’è questo per te?”, gli ho chiesto. Lui risponde: è carino. Io a questo punto l’ho direzionato: “Dillo a lei” “Essere qui con te e guardarti stirare è bello” “Cosa risponde la tua mamma?” “Mi piace essere qui con te, anche a me piace” “Ora Jimmy”, dissi, “diventa la lampadina; io sono la lampadina… ” Allora Jim ha ripetuto questo incipit: “io sono la lampadina” e ho cominciato un dialogo con la lampadina. “Quindi cosa è successo?”, ho detto alla lampadina. “Beh”, disse Jimmy facendo la lampadina, “stavo splendendo su Jimmy e sulla sua mamma e improvvisamente sono scoppiata e tutto è diventato nero.” Questo è quello che ha detto Jimmy senza alcuna imbeccata da parte mia. E poi ha detto ad alta voce: è quello che è successo a me! Quando la mia mamma è stata uccisa, Il mio cervello è diventato nero e io non potevo ricordare nulla. La memoria di Jimmy ha cominciato a ritornare dopo questa sessione. A mano a mano abbiamo potuto esplorare le sue memorie, e maneggiare la sua rabbia. Il suo comportamento è cambiato totalmente. Ho trovato che i bambini amano lavorare con i sogni. In questi esempi abbiamo usato l’argilla, il gioco di ruolo e i disegni. Provate anche con la vasca della sabbia, i pupazzi, il racconto di storie e la musica!
Autore: Trade SE 15 feb, 2021
Angelo Miramonti e Monica Prato 
Autore: Trade SE 15 feb, 2021
Angelo Miramonti e Monica Prato 
Autore: paypal 15 feb, 2021
Angelo Miramonti e Monica Prato 
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