Cos'è la Gestalt

Cos'è la Gestalt?

La storia della Scuola Gestalt di Torino è principalmente una storia di incontri importanti, passionali, spesso travolgenti e di separazioni dolorose, traumatiche, a volte laceranti. Gli inizi Dal 1981 al 1984 è stato il periodo del maschile. Tutti uomini eravamo i fondatori: uno psichiatra, due psicologi e … un indeciso, che poi sarebbe diventato il primo rolfer italiano. Sono stati anni epici, perché a noi uomini piace essere epici. Si mangiava, si beveva, si fumava e si lavorava insieme a volte fino alle due o le tre di notte. Ci univa la passione per la Bioenergetica, per le arti orientali ( l’Aikido, la medicina cinese) per l’India e per Baghwan Shree Rajneesh. Sono stati anni di forte eccitazione, di intensa ricerca spirituale, e di grandi crisi d’identità, sia personali che professionali. La nostra era una ricerca autentica a volte persino ossessiva. I confini della psicoterapia che conoscevamo non ci bastavano. Juls Grossman, Mary Denaro, Pratiti, e tutti i formatori della Rajneesh University, sono stati gli incontri caratterizzanti di quel periodo. Si facevano interminabili campi di meditazione, maratone, gruppi di bioenergetica, catarsi. Nessuno di noi aveva famiglia, o meglio uno l’aveva, ma si comportava come se non l’avesse. Erano però anche gli anni in cui si gettavano le basi della nostra scuola di formazione. Nel 1984 abbiamo tenuto il primo corso di formazione in bioenergetica per educatori del Comune di Torino. L’84 però è stato anche l’anno di un incontro fondamentale che avrebbe segnato tutto lo sviluppo successivo dell’IBTG : quello con Isha Bloomberg. Isha Larry Bloomberg è stato uno dei grandi terapisti che ha portato in Europa la Psicoterapia della Gestalt. Che cosa sia la Gestalt merita un capitolo a parte ed è approfondito in un altro punto del sito. L’incontro con Isha fu un incontro d’amore. E’ stato il formatore più importante che abbia avuto e poi il collega con cui ho avuto gli scambi più intensi, ed è stato così fino alla sua morte. L’espansione L’incontro con la Gestalt ha segnato la conclusione della prima fase, quella maschile, quella epica, quella narcisistica. Nel giro di due anni noi quattro ci siamo separati e da allora in pratica non ci siamo quasi più visti. Uno ha aperto un centro di Psicoterapia in Liguria, un altro un centro di medicina indiana in Lombardia, uno l’ultima volta che l’ho sentito era il punto di riferimento dei rolfer italiani. La Gestalt ha principalmente cambiato la mia relazione con la donna. Fino ad allora, anche se non me ne rendevo conto, era stata una relazione d’uso. La Gestalt mi ha insegnato cosa vuol dire essere in contatto, mi ha fatto scoprire il divertimento e l’eccitazione nella responsabilità, mi ha insegnato a trasformare la paura in eccitazione e l’eccitazione in presenza, mi ha fatto superare la paura di amare e la paura del femminile. Oggettivamente dovrei dire che è solo un caso, ma dall’incontro con la Gestalt in poi, il numero delle terapiste e delle formatrici nel nostro centro è stato sempre superiore a quello degli uomini. Dal 1987 al 1995 sono stati gli anni dell’espansione. Da una parte è cominciata la trasformazione che ci porterà  ad essere principalmente un istituto di Gestalt. Anche se la Bioenergetica resterà sempre nel nostro DNA, così come l’Aikido e il Rebirthing di Leonard Orr. L’istituto si trasforma in cooperativa e comincia a diventare un polo di attrazione per diversi terapisti. Ristrutturiamo lo stabile di in via Mantova a Torino dove furono gli studios dell’Ambrosia, la prima casa cinematografica italiana. Nell’istituto entrano Danzaterapeuti, massaggiatori Shiatzu, Ostetriche, psicomotriciste, fisioterapiste. Il nostro diventa un centro multidisciplinare che accompagna nel loro viaggio in questa vita partorienti, bambini, adolescenti, portatori di handicap, coppie, famiglie e adulti in diverse situazioni di crisi e di trasformazione. Sono gli anni in cui la nostra scuola si trasforma in Scuola Gestalt di Torino ed entra a fare parte di un circuito internazionale, cominciamo a lavorare in Germania, Scozia, Irlanda. La qualità della nostra offerta professionale si incrementa e la nostra offerta di supervisioni si radica sul territorio piemontese. Supervisioniamo gli staff dell’ospedale di Neuropsichiatria infantile di Cuneo, di comunità per tossicodipendenti, del Servizio per i Senza Fissa dimora del Comune di Torino, di diverse cooperative sociali operanti in comunità per portatori di handicap. Tanti incontri importanti avvengono in questi anni nell’istituto. L’affettività, l’intensità delle relazioni, la passione per la ricerca, la professionalità “umana”, continuano ad essere i nostri tratti caratteristici. Nel 1993 cominciò anche il percorso di riconoscimento della scuola di psicoterapia della Gestalt, percorso che si è concluso, per varie vicende burocratiche, nel 2001. Isha Bloomberg è stato il personaggio che maggiormente ha influenzato in questi anni la nostra crescita professionale, ma importanti sono stati anche Hilda Courtney, Robert Hall, Linda Mc Connel, Stanley Kelleman, Leonard Orr. Acquistiamo anche una cascina che attrezziamo per i nostri gruppi residenziali e per gli stage della scuola. Nel ’95 Isha Bloomberg muore. All’inizio sembrava che dovesse essere un cambiamento importante solo per me, che perdevo non solo una persona amata, ma anche il maestro-collega, con cui avevo scambi e confronti pressoché quotidiani. Invece fu l’inizio di un’altra trasformazione profonda. Si diventa adulti Forse con la morte di Isha venne meno il collante di una figura genitoriale, o forse, dopo otto anni di lavoro insieme avevamo bisogno di separarci. Non fu una separazione indolore. Ci vollero circa due anni di scontri e confronti per completarla. Ma, alla fine, come una cellula matura per proliferare ci separammo e quattro centri si formarono da questa separazione. Io divenni il portatore della fiaccola dell’IBTG- Scuola Gestalt di Torino, sostenuto da mia moglie, le mie figlie e le mie colleghe straniere, su tutte Hilda Courtney e gli/le allievi/e della scuola. Poi avvenne l’incontro che avrebbe caratterizzato i cinque anni successivi, quello con una terapista junghiana e la sua scuola. E’ stato un altro periodo di scambi intensi. Ci accomunava principalmente il bisogno di leccarci ferite recenti e la voglia di rifondare le nostre scuole su basi diverse. Per me è stato principalmente il periodo del dopo Isha. La scuola  aveva bisogno di sviluppare una struttura diversa, c’era bisogno di un grosso sforzo organizzativo ed ideologico per fare evolvere la struttura entusiasticamente anarchica che ha sempre contraddistinto il nostro istituto, in una associazione organizzata su basi anche gerarchiche, condizione indispensabile per essere riconosciuti come istituto di specializzazione post-universitario in psicoterapia. Tutto questo stando attenti a restare fedeli all’anima della Gestalt : “Sostenere l’eccitazione e l’accrescimento nella personalità umana.” Ci siamo sostenuti molto a vicenda con gli junghiani ed abbiamo fatto un lavoro importante per entrambi, ma l’amore non è mai scattato. E l’amore è sempre stata la principale forza coesiva del nostro istituto. Così, lentamente ma inevitabilmente, le differenze personali, di anima e di visione terapeutica sono diventate preponderanti e siamo arrivati all’ultima separazione (per il momento !). Sotto certi aspetti è stato il cambiamento più radicale della nostra storia. Sentivamo che era giunto il momento di lasciare anche lo stabile storico di via Mantova e che per compensare la burocratizzazione necessaria per diventare scuola di psicoterapia, avevamo bisogno di una forma societaria più semplice della cooperativa. La Creatività come Identità terapeutica Così sono arrivato alla fase dell’SGT, iniziata a febbraio del 2001. Andammo in via Andrea Doria, in un elegante e storico palazzo nel centro di Torino. Potenziammo la struttura di Casalborgone per soddisfare l’elevato numero di gruppi di crescita personali e di corsi di formazione che venivanoo richiesti al nostro istituto. Il nostro organigramma  diventò un solido mix di terapeuti e formatori “anziani” con esperienza più che trentennale, e giovani terapisti, counselor e formatori con una solida formazione alle spalle e molto entusiasmo. Senza accorgercene avevamo già più di ventun’anni di vita, eravamo stati accettati dagli ambienti accademici e eravamo ora una scuola post-universitaria in terapia della Gestalt. La nostra scuola in Gestalt Counseling aveva  ormai una professionalità ed un’esperienza consolidatasi in 16 anni di esistenza. Eravamo in grado di soddisfare richieste di supervisione e formazione dalle organizzazioni aziendali agli insegnanti e dagli educatori agli infermieri. Il nostro campo d’intervento in counseling e psicoterapia andava dai bambini, agli adulti, alle coppie, alle famiglie. Avevamo imparato molto. Le meditazioni di Osho, gli esercizi di Bioenergetica, il Rebirthing, la danzaterapia, gli junghiani, tutti gli incontri importanti che avevamo fatto hanno contribuito a renderci ciò che eravamo diventati. Non c’è una sola virgola di questo passato che non ripeterei. Ma siamo pronti a cambiare ancora La nostra tradizione va da Socrate allo Zen alla Psicologia Umanista, passando per la Fenomenologia e gli Istituti di Gestalt europei e di oltre oceano. Il contatto con l’ambiente e la società di cui facciamo parte; la capacità di reggere l’ansia della trasformazione e l’eccitazione della crescita; il coraggio di alienarci, di abbandonare le situazioni non più adatte a noi e di identificarci con le nuove soluzioni emergenti; la fede nel processo vitale, tutto ciò è da sempre e come sempre parte integrante di noi. Siamo una Scuola Gestalt. Dal 2013 siamo in una nuova sede, in via Revel 6. E’ più grande, abbiamo bisogno di più spazio perché il numero di ex allievi, ora professionisti che hanno voglia di lavorare in e per questa scuola è, con nostra grande soddisfazione, in continua crescita. Abbiamo fatto incontri importanti e nutrienti con professionisti che lavorano in altre zone d’Italia ; da questi contatti sono nate collaborazioni che si sono concretizzate nell’apertura di due nuove sedi, a Udine e a Firenze. I docenti e gli allievi di queste sedi stanno contribuendo con le loro peculiarità, differenze ed entusiasmi a scrivere nuove pagine della nostra storia. Questa scuola non ha mai avuto un padrone, un proprietario. I vecchi formatori continuano ad esserci, ancora nel presente, ma ormai più nella storia, consapevoli che il presente è sempre di tutti coloro che hanno voglia di mettere energia nella scuola, di rischiare, di sbagliare, di creare : la creatività è la nostra identità terapeutica. Fritz Perls ci ha insegnato a “addentare” la vita a morderla e a trasformarla trasformandoci, ci ha insegnato che l’eccitazione e la crescita sono i segnali della buona salute, così come la capacità di assumerci la responsabilità delle nostre azioni. A questo nel tempo abbiamo aggiunto la voglia di “fare l’amore” con la vita, perché all’eccitazione e alla crescita si aggiungono così il piacere, la passione e la sofferenza, che sempre vanno a braccetto quando si corre il rischio di amare e di cui dobbiamo imparare a non aver paura. Essere una scuola di Gestalt vuol dire avere la consapevolezza che “Non c’è niente davanti”. In questo fedele alla sua tradizione ebraica Isha Bloomberg sosteneva che il futuro arriva da dietro e davanti non c’è nulla e che quindi nulla si può controllare. Si tratta di sviluppare la fede di cui parlava Goodman, cioè fare il prossimo passo, avendo fede che il terreno sarà li sotto a sostenerci. Il futuro si forma nel momento in cui noi avanziamo. Muovendoci creiamo il futuro. Siamo pronti al prossimo passo.
Nasce nell’alveo della psicologia umanista all’inizio degli anni Cinquanta, a partire dalla psicologia della Gestalt e dagli sviluppi della psicanalisi, come un approccio fenomenologico ed esistenziale alla psicoterapia. Gestalt in tedesco si riferisce alla struttura, alla forma organizzativa assunta dalle parti che compongono uno specifico sistema. Secondo la Psicologia della Gestalt “è l’organizzazione dei fatti, delle percezioni, del comportamento o dei fenomeni a dar loro significato e non gli elementi individuali di cui questi sono composti”. Un’organizzazione che per significato e importanza non è casuale, ma basata sugli stimoli dell’ambiente e sulla situazione soggettiva, sia innata che contingente (bisogni) dell’organismo in esso vivente. Partendo da questa generale impostazione teorica lo psichiatra e psicoanalista Fritz Perls, la moglie Laura Polsner ed alcuni loro brillanti collaboratori quali Paul Goodman, Isadore From e Ralph Hefferline hanno sviluppato tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Cinquanta, l’originale approccio psicoterapeutico che prende il nome di Terapia della Gestalt. La figura che prende forma nella coscienza emergendo dallo sfondo indifferenziato degli stimoli corporei ed ambientali è quella più pregnante per la soddisfazione dei bisogni organismici, e ne sostiene naturalmente il processo di autoregolazione nell’ambiente di vita. Quando tale processo spontaneo è bloccato o distorto a causa di esperienze passate traumatiche o confusive, l’individuo è disorientato e in conflitto con se stesso, incapace di efficacia e di creatività, uno stato comunemente chiamato nevrosi. 

L’intervento
La terapia della Gestalt interviene sulle interruzioni del processo di autoregolazione al confine tra l’individuo e il suo ambiente, che impediscono la consapevolezza dei bisogni vitali e della loro priorità nonchè il coinvolgimento e l’identificazione con essi, necessari ad attivarsi e muoversi con efficacia e creatività per la loro soddisfazione (processo di adattamento creativo). La Terapia della Gestalt è una terapia esperienziale, più che verbale o interpretativa. 

Terapia del qui-e-ora
Come parlare di sé è una resistenza alla sperimentazione di sé, così il ricordo di un’esperienza – il parlarne semplicemente – la lascia isolata come un sedimento del passato, privo di vita quanto le rovine di Pompei. Il paziente molto probabilmente, ha avuto un problema o un trauma nel passato, ma soprattutto ha una difficoltà qui e ora nel presente; per chiudere definitivamente col passato, non solo può, ma soprattutto deve lavorare sulla sua situazione relazionale attuale. Lavorando ad esempio sul mondo infantile, non si chiederà di raccontare la relazione con la madre, ma bensì di immaginare di parlare con la madre, psicodrammaticamente qui ed ora; non si chiederà di narrare momenti importanti nell’area lontana della memoria, bensì di risperimentare quei momenti nel qui e ora della seduta, per comprendere le scelte di vita alla base delle difficoltà dell’attuale presente. Dal momento che il contatto fra organismo e ambiente ha luogo sempre in superficie, è proprio questa che il terapeuta della Gestalt deve vedere; egli è sensibile al quadro superficiale presentato dal paziente – tensioni muscolari croniche, modalità di respiro, caratteristiche espressive, qualità del movimento, identificazione emotiva – in modo che la sua maggiore consapevolezza possa diventare lo strumento con cui il paziente aumenta la propria. 

Sostegno alla consapevolezza e ad un’esperienza piena di sé
 La consapevolezza dei bisogni vitali parte dalle sensazioni corporee e dalle emozioni; chiediamo allora al paziente all’interno della rievocazione psicodrammatica o nell’interazione reale con il terapeuta di diventare consapevole dei suoi gesti, della respirazione, delle emozioni, della voce e delle espressioni facciali, nonché dei suoi pensieri pressanti. 

La terapia come esperienza nuova e assimilabile 
Quanto più diventa consapevole di se stesso tanto più imparerà riguardo al suo Sé; man mano che sperimenta i modi in cui si impedisce di “essere” ora – i modi in cui si interrompe – comincerà anche a sperimentare il Sé che ha interrotto e le spinte del suo processo bloccato. La possibilità di scelta nasce dalla consapevolezza e dalla accettazione di ciò che si è e il setting terapeutico è proprio il luogo sufficientemente sicuro ove le nuove scelte possono attualizzarsi prima di essere sperimentate nel proprio ambiente quotidiano. L’incantesimo nevrotico è allora spezzato e la vita può tornare a scorrere.
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Autore: Sergio Mazzei 22 giu, 2018
Ho cominciato ad applicare la tecnica della Body Psycotherapy, che ho appreso attraverso un percorso di formazione intrapreso negli anni ‘80 con George Downing.
Autore: Barbara Bellini 27 set, 2017
Il termine “ansia” genera in chiunque una reazione di rifiuto o paura. Specialmente in ambito lavorativo, per dirigenti manager e responsabili, la gestione dell’ansia rappresenta spesso un “problema” da affrontare con sedute di training autogeno, se non con l’uso dei farmaci. Ma cos’è l’ansia e perché ci spaventa così tanto? Come evento psicologico l’ansia è uno stato d’animo che sorge in noi quando perdiamo il contatto con la situazione presente e ci proiettiamo in un situazione futura che viviamo come minacciosa e che sperimentiamo come se fosse presente in questo momento. Il fatto che la situazione non sia presente fa sì che non si possa fare niente di efficace e questo alimenta in noi il senso di inadeguatezza e di tragedia incombente. Ognuno di noi ha sperimentato l’ansia prima di un esame, prima di un incontro di lavoro importante, prima di parlare in pubblico, o comunque prima di qualsiasi evento carico di aspettative. L’accento sul prima ci rivela come l’ansia non sia mai presente nel momento del coinvolgimento nell’azione per noi importante, ma in un tempo che precede questo coinvolgimento : un tempo in cui dobbiamo trattenere e contenere l’eccitazione pronta per l’azione. Sotto il profilo fisico, l’ansia presenta le caratteristiche di un’eccitazione trattenuta: · respiriamo poco e solo nella parte alta dei polmoni · la gola è chiusa · il diaframma è contratto · spesso spalle e stomaco sono contratti · siamo agitati senza la capacità di concentrarci su qualcosa E’ evidente che stiamo parlando di sintomi spiacevoli e questi da soli potrebbero spiegare la scarsa popolarità di cui gode l’ansia …. ma non è così. Ciò che rende l’ansia così “ansiogena” è il senso di inadeguatezza ad affrontare una tragedia imminente. Ma ciò è una conseguenza di una nostra errata interpretazione dell’emozione e dello stato di agitazione. Così, invece che accoglierli come segnali della nostra volontà di coinvolgimento e dell’eccitazione che abbiamo a disposizione per l’azione, li interpretiamo come segnali di inadeguatezza e facciamo di tutto per scacciarli e controllarli ottenendo così l’effetto di aumentarne l’intensità. C’è da aggiungere il senso di vergogna che spesso proviamo nel mostrarci agitati ed eccitati davanti agli altri, altro fattore che spinge ad aumentare il controllo e a vivere negativamente l’ansia. L’ansia dovrebbe naturalmente dissolversi nel momento in cui noi ci coinvolgiamo nell’azione attesa trasformandosi in eccitazione, ma se il controllo è stato molto rigido e le contrazioni muscolari e respiratorie molto accentuate, allora non si trasforma in eccitazione ma in panico , con il conseguente risultato della paralisi, che è la naturale risposta di un organismo di fronte ad un aminaccia molto grossa che ritiene di non essere in grado di affrontare in alcun modo, neanche con la fuga. Perché l’ansia può essere uno strumento importante. L’ansia ci segnale in realtà che siamo pronti per l’azione, ma che dobbiamo contenere la nostra eccitazione perché non è ancora il momento di lasciarla andare. E’ una forma di riscaldamento del motore che, se svolto nel modo più appropriato, renderà la vostra azione ancora più efficace. Lo sanno bene i grandi attori che salutano l’ansia da palcoscenico come un segnale che sentono l’avvenimento e sono pronti ad una grande performance. E al contrario si preoccupano molto se prima di entrare in scena si sentono calmi e distaccati: sanno bene che questo stato d’animo potrà produrre prestazioni vuote e prive di coinvolgimento. Il punto, dunque, non è cercare di eliminare l’ansia, ma viverla, contenerla ed utilizzarla in modo efficace . Come fare? · Ridefinire l’ansia. E’ necessario modificare il nostro atteggiamento mentale. Accogliere l’ansia come un segnale positivo del nostro preparaci all’azione. · Evitare di fantasticare sull’evento futuro. Meglio parlarne con qualcuno · Agire sui sintomi fisici. Espirare il più completamente possibile. Fisicamente l’ansia è la conseguenza del senso di soffocamento derivante da mancanza di ossigeno Respirare più profondamente e nella pancia. In questo modo allentiamo la tensione diaframmatica che rende più difficile l’espirazione Usare la voce. Magari per cantare o parlare con qualcuno, così da allentare la tensione alla gola Accettare la nostra agitazione. Non vergogniamoci di essere agitati. Vuol dire che siamo umani e ci teniamo a ciò che stiamo per fare. Se possibile, fare esercizio fisico. Non per scaricare la nostra agitazione, ma per fare circolare l’energia nel nostro organismo e darci un piacevole senso di essere pronti per l’azione · Fare esercizi di concentrazione spontanea. Così da portare l’attenzione sul qui e ora. · Avere fede nel processo . Questo è sempre un elemento fondamentale: stanno avvenendo le cose che devono avvenire, e quando sarà il momento faremo tutto ciò che sarà necessario fare
Autore: Mariano Pizzimenti 27 set, 2017
“(…..) Qualsiasi disturbo della sfera sessuale sarà affrontato in termini relazionali. Non voglio dire che non esistano disturbi sessuali dipendenti da motivazioni fisiologiche individuali, ma nella mia esperienza l’incidenza di questi ultimi è molto bassa, rispetto al grande numero di disturbi sessuali legati a problematiche della coppia e/o del campo più allargato che include famiglie di origine ed esperienze infantili e adolescenziali. Detto in altri termini, i disturbi sessuali sono sempre l’espressione di una strategia di sopravvivenza che trae la sua efficacia proprio da quel comportamento che noi chiamiamo “sintomo”. Nella terapia della Gestalt noi diciamo che non esistono disturbi, ma solo “stimoli”. Che cosa vuol dire? Col termine disturbo diamo un valore negativo ad un evento che ci distoglie da un nostro compito. Il disturbo può essere un ostacolo o, al contrario, uno stimolo che, facendo emergere il conflitto tra due intenzionalità (originaria e succedanea), rappresenta un segnale utile per orientarci e far emergere l’intenzionalità originaria. Dunque è un ostacolo per l’intenzionalità succedanea, mentre è un’“occasione” per quella originaria. Un esempio. Se io ho scelto una facoltà che non mi piace solo per accontentare i genitori (intenzionalità succedanea) e sto preparando un esame che non mi interessa, un cane che abbaia ad un chilometro di distanza, sarà un disturbo insostenibile. In questo caso l’intenzionalità originaria è quella di affermarmi di fronte ai miei genitori come persona adulta, autonoma e responsabile. Il cane disturba l’intenzionalità succedanea di relazionarmi con i miei genitori sulla base di introietti. Se invece sono coinvolto a scambiarmi effusioni con un mio amante, probabilmente non percepirò neanche una nota del concerto rock che sta avvenendo intorno a noi in quanto sono me stesso in maniera piena sul confine di contatto. Perls e Goodman (1951) parlavano di sintomi nei termini di “adattamenti creativi” perché se l’individuo non ha il sostegno per portare fino in fondo l’intenzionalità originaria, allora l’intenzionalità succedanea è la strategia creativa che trova, con il sostegno di cui in quel momento dispone, per espletare quella originaria. Questa strategia creativa è limitata, ma è comunque la migliore possibile in quel campo. Il disturbo sessuale ci dice quindi che un conflitto tra intenzionalità è attivo e, in questo momento, sta emergendo alla superficie. È quindi uno stimolo a riconoscere qual è l’intenzionalità originaria che io, o meglio, la coppia, sta negando”. Sull’impotenza erettile leggiamo: “Se comincio a pensare che il mio pene o la mia vagina hanno qualcosa che non va, che non funzionano , apparentemente mi assolvo, cioè mi separo da una parte di me che definisco disfunzionale, mentre “io” vorrei e continuo a desiderare ardentemente di avere un rapporto sessuale con l’altro. In questo modo però io mi autodefinisco impotente, in quanto non ho potere su una parte di me che sfugge al mio controllo ed agisce contro la volontà. Se invece ci assumiamo la responsabilità di rendere impossibile la penetrazione e accettiamo che, aldilà di quella che può essere la nostra percezione emotiva o cognitiva, noi stiamo esprimendo un rifiuto al contatto genitale con l’altro, ecco che torniamo ad essere “potenti”. La difficoltà sta nel fatto che non siamo consapevoli di questo rifiuto. Ci siamo alienati da esso e ne scarichiamo la difficoltà su una parte di noi, desensibilizzandoci. Facciamo come Muzio Scevola che brucia la sua mano sul braciere per punirla di aver accoltellato la persona sbagliata. La potenza comporta respons-abilità. Cioè la capacità di confrontarsi col partner e di sostenere il confronto. Ecco un primo dato relazionale, l’impotenza erettile o lubrificatoria, è sempre una deresponsabilizzazione rispetto ad una dinamica relazionale. È una strategia di sopravvivenza che si esplica attraverso il “vorrei, ma non posso”. Questo vuol dire vedere il fenomeno in tutta la sua estensione, che non è solamente la mancanza o perdita dell’erezione o della lubrificazione, ma il fatto che io prima sperimento ed esprimo il desiderio di avere il rapporto sessuale, vorrei averlo, ma poi subentrano delle paure specifiche e viene meno il coraggio. A quel punto mi sottraggo dal confine con l’altro, non vedo più lucidamente il mio compagno/a perché entro in contatto con parti di me inaccettabili; detto in altri termini: con la paura di far emergere i miei bisogni più profondi e di rimanere da solo. Nella mia strategia di sopravvivenza è più accettabile risultare inadeguato, che non “cattivo”, incapace, o rifiutante. “Non voglio” non è esprimibile, molto meglio “non posso””. Sull’eiaculazione precoce : “Secondo l’epistemologia di campo propria della Gestalt (Robine, 2006), ogni disturbo nasce nel qui e ora del contatto e riguarda ciò che gli individui, con la loro storia, stanno co-costruendo. Dunque se c’è un’ostilità, questa può essere collegata ad un’area di fragilità rispetto alla storia infantile, ma comunque nasce per qualcosa che sta succedendo tra i partner. La sofferenza è innanzitutto “relazionale”, prima ancora che individuale. Vediamo in che cosa questi fenomeni differiscono dall’impotenza. Sono entrambe forme d’ansia, che però sopraggiunge in momenti diversi. Qui non ci troviamo di fronte ad un rifiuto della penetrazione o della vaginazione, ma ad un’urgenza di conclusione. Nel caso dell’impotenza, l’esperienza è rifiutata in quanto pericolosa ed il pericolo è vissuto come immediato, presente nell’adesso della situazione che quindi viene evitata. Nell’eiaculazione precoce o nell’orgasmo precoce, invece, il pericolo sembra essere proiettato in un futuro più o meno prossimo e quindi dobbiamo abbreviare il più possibile i tempi per evitare che questo futuro si concretizzi. Dal punto di vista del ciclo di contatto, l’uomo sperimenta l’ansia nell’istante in cui raggiunge un livello elevato di eccitazione ed è proprio quest’ansia a creare una desensibilizzazione delle sensazioni genitali e quindi l’orgasmo involontario. Dunque, paradossalmente, la causa dell’eiaculazione precoce non è un’eccessiva sensibilità, come si ritiene comunemente, ma al contrario, una desensibilizzazione. L’ansia, in realtà, assume un ruolo indiretto nella genesi della precocità. Il punto è che la persona perde il contatto con i genitali e non percepisce molte delle sensazioni che preparano e conducono all’orgasmo. Oltre alla rapidità del riflesso eiaculatorio, la persona non è in grado di esercitare un controllo volontario sul riflesso stesso (Kaplan, 1976). Come per l’impotenza erettile e lubrificatoria, anche qui l’esperienza è vissuta differentemente dall’uomo e dalla donna (…..)”. Da “Aggressività e Sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere” Franco Angeli, 2015
Autore: Irene Tria 20 lug, 2017
La Scuola Gestalt di Torino nel 2012 ha deciso di coinvolgere Jgor Francesco Luceri e Alberto Bertotto, due psicoterapeuti che si erano formati presso l’Istituto, nell’organizzazione e conduzione delle attività di formazione indirizzate ai nuovi tirocinanti in psicologia. Per un paio di anni si erano avvicendati singoli tirocinanti che - per lo svolgimento delle loro attività curriculari – venivano inseriti nei gruppi di formazione rivolti a specializzandi psicoterapeuti (formazione quadriennale) o counselor (formazione triennale). Successivamente lo staff ha pensato di ampliare l’offerta per attrarre un numero maggiore di studenti e costituire un gruppo di studenti universitari più stabile ed omogeneo: l’obiettivo primario era quello di permettere ai tirocinanti di fare un’esperienza formativa all’interno di un contesto più sicuro con un gruppo di pari con esigenze simili. Il percorso era quindi finalizzato alla crescita personale attraverso esperienze guidate, la conduzione di colloqui di sostegno psicologico svolti sotto supervisione dei tutor e dei docenti della scuola, alternati a momenti di approfondimento teorico e pratico della Terapia della Gestalt e del modello formativo della Scuola Gestalt di Torino. Per supportare queste attività si è deciso di mantenere nel percorso dei tirocinanti la partecipazione ai seminari di formazione in psicoterapia e counseling in modo che potessero “immergersi” maggiormente nella realtà formativa dell’Istituto: ogni tirocinante veniva quindi inserito in un gruppo di studenti in formazione presso la scuola per tutta la durata del suo tirocinio, con il compito di redarre, di volta in volta, un report per ogni seminario seguito. La stesura di questa sorta di “diario” aveva come fine quello di permettere al tirocinante di “masticare e digerire” l’esperienza vissuta, ma anche di lasciare una traccia al gruppo in formazione di specializzandi psicoterapeuti o counselor del loro passaggio. I tirocinanti venivano inoltre coinvolti nell'organizzazione dei convegni e nelle attività di segreteria. Infine, una volta al mese, il gruppo tirocinanti incontrava alternativamente Mariano Pizzimenti, direttore e trainer della scuola, e Franco Gnudi, vicedirettore e trainer dei corsi di formazione in psicoterapia: durante questi incontri gli studenti avevano la possibilità di osservare il lavoro dei docenti durante vere e proprie sedute individuali che venivano svolte con un allievo del gruppo, disponibile a fare da “paziente modello”; ad ogni seduta seguiva un momento formativo di teoria e di analisi del processo della seduta nell’ottica della teoria della Terapia della Gestalt.
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